S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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Il Tabularium Lateranense
  L’Archivio Musicale dell’Arcibasilica di S. Giovanni in Laterano

A Roma uno straordinario evento di carattere mondiale

ANTICIPAZIONI

Per la prima volta, a Roma, con una metodologia esclusiva, la Fondazione Culturale Paolo di Tarso ha compiuto la digitalizzazione di manoscritti di musica polifonica e monodica di uno dei più preziosi giacimenti di musica esistenti al mondo, del Capitolo Lateranense, l’Archivio Musicale dell’Arcibasilica di S. Giovanni in Laterano. Tale miniera di documentazione relativa alla storia non solo di Roma ma di tutta la nostra umanità, può vantare ottomila manoscritti e oltre duecento edizioni dei secoli XVI-XVIII.

Un Archivio unico che può essere annoverato tra i più noti solo insieme ai fondi musicali di San Pietro – Cappella Giulia – del Vaticano – Cappella Sistina – Santa Maria Maggiore – Cappella Liberiana – con altre raccolte italiane di celebri Cattedrali tra le quali Milano, Venezia Padova, Verona, Bologna.

Tra i documenti straordinaria l’acquisizione digitale in immagini di eccezionale qualità, dei noti Codici 56 e 59, del Principe della Musica Giovanni Pierluigi da Palestrina (Palestrina fine 1525/ inizio 1526 – Roma 2 febbraio 1594, maestro dell’Arcibasilica dal primo ottobre 1555 al 1560) ovvero del famoso documento autografo - il Codice 59 - della storia musicale di ogni tempo insieme ai volumi dei lasciti artistici di decine di compositori che svolsero la loro attività in qualità di maestri della Cappella dell’Arcibasilica.

Tra i maestri che l’Arcibasilica Lateranense annovera fin dalla sua fondazione: Rubino Mallapert (Rubino), dal 1548 al 1549, Animuccia Paolo, dal 1550 al 1552, Lupacchino del Vasto Bernardino, dal 1552 al 1553, Di Lasso Orlando, dal 1553 al 1555, Zoilo Annibale, dal 1561 al 1570, Le Roy Bartolomeo, dal 1570 al 1572, Roselli Francesco, dal 1571 al 1573, Adriani Francesco da San Severino, dal 1573 al 1575, Annibale Stabile, dal 1575 al 1576, Dragoni Giovanni Andrea da Meldola, dal 1576 al 1598, Soriano Francesco, dal 1599 al 1601, Mancini Curzio, dal 1601 al 1603, Anerio Giovanni Francesco, dal 1603 al 1605, Fabri Stefano seniore, dal 1605 al 1607, Antonelli Abbondio, dal 1611 al 1613, Benincasa Giacomo, dal 1613 al 1620, Guizzardi Cristofano, dal 1620 al 1622, Cifra Antonio, dal 1622 al 1623 e dal 1625 al 1626, Olivieri Giuseppe, dal 1623 al 1624, Oliveira de Antonio, nel 1626, Abbatini Antonio Maria, dal 1627 al 1629, Verini Orazio, nel 1629, Mazzocchi Virgilio, nel 1629, Cavallari Dionisio, dal 1629 al 1639, Foggia Francesco, dal 1636 al 1661, Celano Giuseppe Corsi, dal 1661 al 1665, Bernabei Giuseppe Ercole, dal 1665 al 1667, Giansetti Giovanni Battista, dal 1667 al 1675, Bicilli Giovanni, dal 1675 al 1684, Bianchini Giovanni Battista, dal 1684 al 1708, Pitoni Giuseppe Ottavio, nel 1708, Giorni Giovanni, nel 1719, Gasparini Francesco, nel 1725, Chiti Don Girolamo, nel 1726, Casali Giovanni Battista, nel 1759, Anfossi Pasquale, nel 1791, Cantucci Don Marco, nel 1797, Terziani Pietro, nel 1816, Molinari Don Giovanni, nel 1838, Merluzzi Salvatore, nel 1838, Capocci Gaetano, dal 1855 al 1898, Capocci Filippo, dal 1898 al 1911, Casimiri Raffaele, 1911-1943, Virgili Lavinio, dal 1943 al 1975, Bucci dal 1975 al 1985, Marco Frisina dal 1985 fino ad oggi.

Sono stati digitalizzati i testi relativi ai seguenti autori di coloro che ricordiamo tra i musicisti: Lupacchino del Vasto Bernardino, maestro dal 1552 al 1553, Dragoni Giovanni Andrea da Meldola, dal 1576 al 1598, Soriano Francesco, dal 1599 al 1601, Mancini Curzio, dal 1601 al 1603, Anerio Giovanni Francesco, dal 1603 al 1605, Benincasa Giacomo, dal 1613 al 1620, Cifra Antonio, dal 1622 al 1623 e dal 1625 al 1626, Pitoni Giuseppe Ottavio, nel 1708, Casali Giovanni Battista, nel 1759, Terziani Pietro, nel 1816.

Inoltre, tra i manoscritti musicali, sono stati fotografati ad esempio, tra i canti dedicati alla Vergine: lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), per due voci – per soprano e contralto - per tre strumenti - violino primo, violino secondo e viola; Salve Regina di Giuseppe Ottavio Pitoni (1657-1753), peraltro maestro della Cappella nel 1708, partitura scritta per alto e per organo; tra tutte le innumerevoli – 3101 - partiture di Girolamo Chiti (1679-1759), un altro maestro della Cappella, nel 1726, tra le opere digitalizzate anche l’Alma redemptoris mater, l’Inno alla Vergine per alto, per organo, autografo del 1721.

Oltre ai manoscritti musicali è stato scansito, ad esempio, l’inedito Codice A 70 degli incatenati, “donazione degli uomini di Campolaterano” (“Similiter et homines de campolateran fecerunt donatione”, carta 4 recto) un volume – donazione, nella quale si può leggere, in pagine di epoche diverse, la storia dell’Arcibasilica Lateranense. E’ caratterizzato dalla catena fissata sul dorso per impedirne la sottrazione nel corso dei secoli.

Brevi cenni storici dell’Archivio Musicale
dell’Arcibasilica di S. Giovanni in Laterano

E’ uno dei più importanti archivi musicali del mondo che conserva un ricco patrimonio bibliografico musicale legato all’attività importante della Cappella Pia, la Cappella Musicale Lateranense, la cui storia ha inizio dal primo quarantennio del Cinquecento, con i lasciti dei numerosi compositori che qui hanno svolto la loro attività in qualità di Maestri della Cappella della Basilica. Il Capitolo Lateranense conta novemila unità bibliografiche relative ai manoscritti di musica vocale e strumentale ad uso prevalentemente – ma non solo – liturgico (8500 manoscritti) oltre a molti rari musicali (104 tra 5-6 e settecentine) e centoventisei libri corali. Tra questi ultimi sono presenti sia volumi a stampa in folio, sia codici manoscritti di canto fermo e di polifonia.

L’attività della Cappella è stata fondamentale per l’istituzione del Capitolo ed ha inizio nel 1491 quando, dopo vari progetti, è stata avviata per proseguire solo negli anni 1493-4 e 1513 nonché nel 1543 con il Decreto Capitolare. Tuttavia fu soppressa nel 1545 e venne rifondata da Papa Paolo III Farnese nell’agosto 1546. Nel 1548, infatti, ebbe il suo ruolo ufficiale il primo Maestro di Cappella Mallapert Rubino fino al 1549.

Viene custodito in questa sede materiale documentario unico della storia della musica che, in particolare, è da considerarsi patrimonio di fede nonché di espressione di un rapporto intimo con Dio da parte di tutti coloro che sono stati donatori e frequentatori dell’Arcibasilica. Tra i documenti ricordiamo, in particolare, il celebre documento autografo di Giovanni Pierluigi da Palestrina, il Codice 59 che insieme al 56 sono i due testi originali di Palestrina.

Il primo storiografo musicale a valorizzare l’Archivio fu l’Abate Giuseppe Baini - del quale oggi si conserva un busto scolpito da Mauro Benini nel 1889 nella Biblioteca Casanatense di Roma - tra i primi a sondare la variegata mappa delle istituzioni romane dei secoli XVI-XVII preposte all’esecuzione della musica sacra, atte a preservare il materiale esistente nel Capitolo Lateranense. Fu il primo ideatore della pubblicazione del Corpus palestriniano, presentando nel 1828 l’estesa biografia del musicista che tuttavia non riuscì a portare a compimento. Fu, infatti, poi Pietro Alfieri che dal 1841 al 1846 pubblicò sette volumi stampati in litografia del materiale palestriniano ubicato negli archivi romani.

Tra gli importanti e precedenti conoscitori ed estimatori dei prodotti artistici dei polifonismi della scuola romana il Frate minore Francesco Girolamo Chiti, maestro della Basilica nel 1726. Furono, infatti, determinanti le informazioni che il religioso senese diede a Giovanni Battista Martini, noto confratello bolognese, il quale si accingeva a scrivere il quinto volume della Storia della Musica, inserendovi quindi tutte le notizie dettagliate di Giovanni Pierluigi da Palestrina e dei suoi seguaci. Fu soprattutto Girolamo Chiti che incrementò di centinaia di numeri l’inventario dell’Archivio Musicale Lateranense con la sua produzione e con cospicui doni bibliografici, ad essere attento custode, riordinatore e catalogatore dell’archivio. Infatti, nel 1750 lasciò la sua preziosa biblioteca, la sua raccolta di libri musicali e spartiti, alla famiglia Corsini (A. Bertini, Biblioteca Corsiniana e dell’Accademia dei Lincei, Catalogo dei fondi musicali Chiti e Corsiniano, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1964) laddove le sue composizioni spettarono al Laterano (Siegfried Gmeinwieser, Girolamo Chiti, 1679-1759. Eine Untersuchung zur Kirchenmusik in S. Giovanni in Laterano, Regensburg 1968, pp. 208-213 – Kolner Beitrage zur Musikforschung vol. XLVII). Probabilmente alcune stampe e manoscritti del Laterano sono passati, alla morte di Chiti, dall’abitazione del religioso nelle adiacenze di S. Giovanni in Laterano, dalla sua biblioteca privata, alla Biblioteca Corsiniana. Oggi numerose le testimonianze di splendide opere autografe che “Hieronimus Chiti” ha lasciato dedicate ai Santi ed a Martiri della tradizione cristiana.

Tale è l’inizio della storia del Capitolo Lateranense che grazie a questi autori e a coloro che hanno avuto la sensibilità di occuparsi della sua tutela oggi, con gli strumenti adeguati, ci restituisce i lineamenti delle Bellezze del Sacro.

Tra costoro ricordiamo Mons. Sante Sciubba che intorno agli anni ’80 del Novecento che rappresentò un passo importante per la fruizione e la conservazione di questo bene culturale.

Si ringrazia oggi Mons. Louis Duval-Arnould, Prefetto dell’Archivio del Capitolo Lateranense.

Biografia essenziale
di Giovanni Pierluigi da Palestrina

“A ritrarre l’umano pensiero il greco Cadmo inventò l’alfabeto, Guido d’Arezzo immaginò i segni per la lingua del cuore. Ma dopo lo scoprimento de’ caratteri musicali, g’italiani non poterono da ben tre secoli mostrare quanto fossero informati da natural legge all’armonia, per le intestine discordie che li travagliavano, per la sfrenatezza dè tiranni che li opprimevano, per le guerre tra il sacerdozio e l’impero che faccan di loro quel governo che ognun sa. Poco incremento ricevette dunque la Musica insino all’apparire d’un Genio che le diè nuovo indirizzo e condotto dall’istinto della melodia e dalla profondità del sentire, trasse inauditi suoni con mirabile temperanza di accordi. E poiché per moda introdotta dà Fiamminghi, maritavansi nel secolo decimosesto le sacre cantilene à temi di mondani, anzi d’impuri canti; fu gran vanto di questo maestro il concepir musica degna della maestà della religione, l’averla fatta uguale alla sommità del Vaticano in che veniva rappresentata l’essere stato cagione che non fosse cacciata come profanatrice. In Palestrina stata già l’antica Preneste e posta sulla campagna romana sortì, nel 1524, il natale questo Pierluigi di cui tanto dovea onorarsi l’umile città. I genitori pressocchè sempre avversi all’ingegno dè figliuoli, ubbidirono alla natural legge, e vedendo il figlioletto con bella voce di soprano, mandaronlo in Roma fra i ragazzi educati a cantare né cori delle basiliche. Arrivato al ventesimo anno usò alla scuola di Claudio Goudimel maestro della Cappella Pontificia. Ma a lui siccome all’Animuccia, al Nannini, al Della Viola, il Fiammingo niun’altra cosa insegnava che ogni specie di fughe, di canoni, d’intrecci, oggi più sottile mistero di contrappunto, non si curando gran fatto di sottoporre alle analisi del giudicio e del cuore gli affetti dè canti e dè suoni…”. G. Zirardini, L’Italia Letteraria ed artistica, 1850.

Il Principe della Musica, così definito nella incisione sulla sua tomba davanti all’altare dei SS. Simone e Giuda nella Basilica romana di S. Pietro – Joannes Petrus Aloysius Praenestinus Musicae Princeps – è nato a Palestrina, l’antica città denominata Praeneste, sita nel territorio romano sulla Via Prenestina. In realtà non si conosce l’anno esatto della sua nascita. Si pensa con molta probabilità tra la fine del 1525 e la fine del 1526. Si conosce, invece, la data esatta della sua morte, il 2 febbraio 1594. Egli fu maestro della Cappella Musicale dell’Arcibasilica di S. Giovanni in Laterano dal 1 ottobre del 1555 al 1560 e quivi restano numerose testimonianze della sua vita umana ed artistica, tra le quali in primis il codice autografo n. 59. Tra le altre opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina conservate nel Capitolo Lateranense solo oggi sono state digitalizzate, nell’ambito dell’iniziativa della Fondazione Culturale Paolo di Tarso, ad esempio: i Messali n. 48 (Messa Sacerdos et Pontifex a 5 v) – 49 (Messa sine nomine a 5 v) – 81 (9 messe a 4 v e 3 messe a 5 v) – 55 (Messa Assumpta est Maria a 6 v) con attribuzione a Palestrina, n. 68 con attribuzione ad Anerio e a Palestrina (5 messe a 4 v, Mottetti a 6 v). Altri risultati della fervida attività di Palestrina, ancora da esaminare e da digitalizzare, presumibilmente, sono conservati ad Assisi, a Bologna, a Venezia, a Parma, nella Biblioteca Nazionale Centrale di Parigi.

Giovanni Pierluigi da Palestrina era di condizione povera e si mantenne, sin dall’età di sedici anni, proprio con la musica e con il suo talento. Molto bella a questo proposito la descrizione che ci ha lasciato Oscar Chilesotti, tratta da “I nostri maestri del passato”, pubblicata nel 1883: “Giovanni Pierluigi Sante nasceva in Palestrina, l’antica Preneste. E’ incerto il nome della sua famiglia; gli fu dato quello della sua patria, secondo l’usanza di allora. Di condizione povera ei volle apprendere la musica per crearsi un mezzo di sussistenza cantando nelle chiese e di 16 anni si recò a Roma ove fu ricevuto nella scuola famosa di Claudio Goudimel. Allora nelle chiese la musica, sotto l’influenza della scuola fiamminga, aveva perduto ogni carattere religioso: si era giunti ad una ridicola esagerazione di scienza priva del sentimento del bello; i maestri avevano inventate forme stranissime di canoni a sghimbescio, alla zoppa, enigmatici ecc. ed i cantanti si permettevano di far pompa della loro abilità con fioriture grottesche. Palestrina comprese lo scandalo: dotato di una profonda ispirazione artistica egli iniziò la riforma musicale per ricondurre la musica al suo scopo colla semplicità e colla chiarezza. Le opere di Palestrina sono il frutto d’un genio creatore: egli aveva colto il carattere del vero bello. I suoi canti sono così puri, la sua maniera di condurre l’armonia così perfetta, il suo stile così nobile che, malgrado le vicissitudini dell’arte, le sue composizioni sono anche ai nostri giorni studiate ed ammirate”.

Egli non ebbe dunque sempre vita con poche difficoltà. Anche la successione dei diversi Pontefici che caratterizzò gli anni della sua vita non fu facile per l’evoluzione della sua attività artistica. Pubblicò la sua prima raccolta di composizioni nel 1553, tra cui quattro messe a quattro voci, una a cinque, con dedica al Pontefice di allora Giulio III. A tale Papa, poi, nel marzo del 1555, succedeva Marcello II, nel cui Pontificato Palestrina ebbe il merito di intervenire a favore della presenza della musica nelle funzioni ecclesiastiche, verso la quale inizialmente Giulio III dimostrò disappunto. Il Papa così non solo non eliminò la musica ma diede l’incarico all’autore di preparare l’unica messa che si ricordi di S. Santità, eseguita il 19 giugno del 1565. Il Pontificato di Marcello II durò solo ventitré giorni. A lui succedette Paolo IV, il quale decise di far interdire ai laici ed agli ammogliati le funzioni di cantore. Fu in questo periodo che l’attività di Palestrina passò alla Cappella di S. Maria Maggiore dove cominciò il periodo più brillante della sua carriera. Nel 1570, morto Giovanni Animuccia, fu poi nominato maestro della Cappella di S. Pietro e pertanto continuò il suo successo. Si occupò, quindi, della riforma del canto religioso voluta dal successivo Pontefice ovvero da Gregorio XIII. Ma il 22 agosto 1580 morì la sua adorata moglie Lucrezia Gori in concomitanza di un’epidemia quando già erano morti i suoi tre figli. Il 22 febbraio del 1581 sposava l’agiata vedova romana Virginia Dormili che gli permise di pubblicare numerose opere prima della sua morte che avvenne il 2 febbraio 1594 a Roma.

L’autografo Codice 59
di Giovanni Pierluigi da Palestrina

Il manoscritto, cartaceo, in folio, misura mm. 398 x 280 (interno) e mm. 403x290 (legatura) si compone di nn. novantaquattro carte numerate sul recto, posteriori alla definitiva redazione del manoscritto come ci riporta Raffaele Casimiri nel 1919, che realizzò un volume fondamentale per la metodologia storiografica, codicologica, paleografica, storico-liturgica e musicologia del Codice 59, caratterizzata da una guardia antica, non coeva. Il codice è rilegato in piena pergamena antica e nell’ambito del restauro avvenuto negli anni ottanta risulta sostituita la legatura originale, logora, con altra pure antica, non mantenendo gli otto nervi sul dorso e conservando il tassello in pelle con la scritta in oro “n. 59”. Lo stato di conservazione delle carte in seguito al rifacimento appare buono con i risultati che hanno posto rimedio agli annerimenti diffusi, alla perdita di note e di frammenti cartacei in corrispondenza con i pentagrammi. Su quarantasette delle novantaquattro carte è visibile la filigrana. Il formato del Codice 59, in folio medio, ricorda quello di altri manoscritti presenti nell’Archivio Musicale Lateranense con il Codice 25 oppure il manoscritto contenente le messe di Bernardino detto Lupacchino dal Vasto. Il Codice contiene complessivamente sessantasei composizioni tra cui sessantacinque polifoniche ed un inno gregoriano. Delle sessantacinque polifoniche i generi maggiormente rappresentati sono gli inni, con quarantatrè composizioni a 3-5 voci; seguono le Lamentazioni, con quattordici Lectiones a 4-6 voci. Completano la silloge altre nove composizioni, tra le quali il Salmo CXXXIII a 4-5 voci, il Cantico Nunc dimittis a 4-5 voci, un Magnificat IV toni a 4 voci, gli Improperia Popule meus a 8 voci in due cori, il Mottetto (Antifona) Hodie Christus natus est a 4 voci, il Responsorio Libera me Domine a 4 voci e, infine, il Canticum Zachariae Benedictus Dominus Israel a 8 voci in due cori, oltre ad un falsobordone senza testo e un frammento di melodia gregoriana (Inno Ut queant laxis). Il contenuto del Codice fornisce gli elementi per stabilire con esattezza la destinazione primaria dell’antologia, ovvero il canto delle liturgie vespertine per le feste di tutto l’anno (Inni e Magnificat, oltre al Mottetto-Antifona Hodie Christus natus est). Il manoscritto era organizzato per manifestare le esigenze liturgico-musicali del solenne triduo pasquale della Settimana Santa (“In coena Domini”, “In Parasceve”, e “Sabato Sancto”) (Lamentazioni, falsobordone, Salmo L “Miserere”, Cantici e Improperia). Infine il volume corale poteva essere utilizzato anche per la celebrazione delle cerimonie funebri (Responsorio “Libera me Domine”. L’ordine con il quale le composizioni, tutte realizzate da Palestrina (fatta eccezione dell’”Inno Gregoriano” Ut queant laxis) appaiono nel manoscritto è il seguente: Lamentazione per il Sabato Santo (I) con destinazione liturgica Settimana Santa, Falsobordone senza testo (Salmo L. II), Settimana Santa, Tre Lamentazioni (III-VI) Settimana Santa, Diciassette Inni ( VII-XXIII) Vespri per le feste dell’anno, Una Lamentazione (XXIV), Settimana Santa, Un Salmo (XXV) Settimana Santa, Un Cantico (XXVI) Settimana Santa, Otto Lamentazioni (XXVII-XXXIV) Settimana Santa, Diciotto Inni (XXXV-LII) Vespri per le feste dell’anno, Un Magnificat (LIII) Vespri per le feste dell’anno, Sette inni (LIV – LX) Vespri per le feste dell’anno, Improperia (LXI) Settimana Santa, Mottetto-Antifona natalizio (LXII) Vespro di Natale, Un inno (LXIII) Vespri per le feste dell’anno, Responsorio per la Messa di Requiem (LXIV) Esequie, Cantico (LXV) settimana santa, Inno Gregoriano (LXVI) Vespro per la Natività di S. Giovanni Battista.

E’ stata ampiamente accertata da R. Casimiri l’autografia del Codice 59 di Palestrina grazie al confronto con le fonti archivistiche ed epistolari autografe redatte dal medesimo autore. Tra queste citiamo l’Archivio della Basilica di S. Maria Maggiore, della Cappella Sistina, l’Archivio di Stato di Mantova. Esistono dubbi sulla calligrafia autentica del maestro solo nelle composizioni copiate nelle carte 33, 34, 36, 37, 42, 45.
Si tratta del manoscritto autografo conservato nell’Archivio Lateranense insieme allo straordinario Codice 56, che attende un restauro nel quale sulla guardia si legge l’esclusiva firma di “Palestrina Gio:Pier.Luigi, Magnificat a 4.5.6. voci sopra li otto toni”.

Cametti A
Cenni biografici: Alberto Cametti, Cenni biografici di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Milano, Ricordi, 1894.

Casimiri R.
“Il Codice 59” dell’Archivio Musicale Lateranense, autografo di Giovanni Pierluigi da Palestrina con appendice di composizioni inedite e otto tavole fototipiche, Roma Tipografia Poliglotta Vaticana, 1919.

Haberl F. X.
Opera Omnia XXV Pierluigi da Palestrina Werke: Vier Bucher Lamentationem zu 4,5 und 6 Stimmen in Partitur gebracht von F. X. Haberl, Leipzig, Breikopf und Haetel, 1888.

Jeppesen B. K.
Palestriniana: Knud Jeppesen, Palestriniana, Ein unbekanntes Autogramm und einige unveroffentlichte Falsibordoni des Giovanni Pierluigi da Palestrina in Miscelanea en homenaje a monsenor Higinio Angles 2 voll. Barcelona Consejo Superior de Investigaciones Cientificas 1958-1961, vol. 1, pp. 417-422.

Rostirolla G
L’Archivio musicale della Basilica di San Giovanni in Laterano, Catalogo dei manoscritti e delle edizioni (secc. XVI-XX), con introduzione di Wolfgang Witzenmann, voll. 1-2, ed. Ministero per i Beni e le attività Culturali Direzione Generale per gli Archivi, Roma, 2002.

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