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La Cappella di S. Giacinto E’ la seconda cappella costruita a S. Maria degli Angeli, in ordine di tempo, sul luogo dove era una delle piscine sussidiarie delle Terme, tra il “Tepidarium” ed il “Frigidarium, trasformate in cappelle da Michelangelo entro lo stesso pilastro e poi modificate, nei prospetti, dal restauro vanvitelliano con la forma di edicola che Michelangelo aveva dato ai quattro monumenti funebri dell’Aula Rotonda o Vestibolo: partendo da sinistra dell’ingresso della chiesa, i monumenti del pittore Carlo Maratta , dei cardinali Alciati e Parisio e del pittore e scrittore Salvator Rosa. C’è una differenza sostanziale, però: i prospetti delle edicole michelangiolesche hanno i pilastri e i timpani lisci e severi nella loro nudità, mentre i pilastri del Vanvitelli sono scanalati, con i capitelli corinzi e i timpani decorati da festoni di fiori tipici del periodo barocco-settecentesco. La cappellina di S. Giacinto si trova a destra dell’ingresso al presbiterio, prima della balaustra dell’altar maggiore e di fronte a quella, identica nel prospetto architettonico creato dal Vanvitelli, del Cristo Salvatore, anche detta una volta del Bambin Gesù. E’ ugualmente caratterizzata da un’alta cancellata settecentesca che chiude quasi completamente l’arco d’ingresso su cui è lo stemma della famiglia Litta. La struttura della cancellata si configura a correnti di ferro unita da borchie d’ottone e palme dorate che formano due croci. La cappellina presenta all’esterno paraste ioniche scanalate e rudentate che sorreggono una trabeazione frontonata racchiudente l’arcone d’ingresso. Eretta per volontà del patrizio milanese Alessandro Litta nel 1608 con l’obbligo di una commemorazione settimanale, è dedicata alla Vergine e a S. Giacinto, il grande santo domenicano venerato dai polacchi e dai loro Re cattolici, come narra l’iscrizione tombale posta sul pavimento, che illustra anche la personalità di Alessandro Litta, “uomo di grande virtù e dottrina, avvocato concistoriale e patrono delle cause dei Re cattolici a Roma.” Deo trino uni La cappellina è notevole per un gruppo di opere di Giovanni Baglione (Roma 1573 -1615), il pittore che nel primo seicento fu anche biografo degli artisti suoi contemporanei. Sull’altare si ergono due colonne di marmo africano con capitelli corinzi che inquadrano il dipinto dell’altare raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Raimondo e Giacinto. Dei quadri laterali, quello di destra raffigura i “SS. Valeriano e Cecilia” incoronati da un angelo biancovestito che risalta sul fondo scuro, mentre si ammirano con interesse, per il vivo tratto coloristico e il disegno, le figure dei due santi. L’altro, a sinistra, rappresenta “S. Francesco che riceve le stimmate”. Il forte processo di ossidazione ha annerito le tele dipinte ad olio, attenuando gli effetti luministici di derivazione caravaggesca, ma le composizioni appaiono ancora architettate con garbo ed equilibrio. “La volta è suddivisa in geometrie mistilinee, evidenziate da stucchi dorati, ove sono inseriti degli affreschi. Al centro un tondo con “L’Eterno Padre fra Angeli”, con atteggiamento di dominio e di comando; ai lati due riquadri rettangolari con la raffigurazione di due angeli alati, a mezza figura, graziosi e riccioluti, entrambi con una corona nella mano sinistra. Tutte le pitture di questa cappellina evidenziano il momento particolare del percorso stilistico del Baglione, che per la complessa personalità culturale di erudito, trova maniere riferentesi allo stile di fine secolo o dell’inizio del nuovo, per giungere solo nella maturità ad una maniera propria già ricosciutagli dal Mancini, quale somma delle esperienze precedenti. Con ciò si vuole sottolineare che in questi quadri il Baglione a caratteristiche manieriste quali il contrapposto, la ricchezza ed i toni vivaci dei panneggi, aggiunge quella tendenza per il caravaggesco che qui si evidenzia soltanto nell’effetto del contrasto di luci (Antellini Simonetta)”. |
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