S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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La Decorazione
  (1700 - 1800) di Rosalba Cantone

Nel 1698 Innocenzo XII Pignatelli fissò le regole per il giubileo del 1700 ed emanò una serie di bandi per il "decoro" della città di Roma e dei suoi edifici religiosi. Numerose furono le sue raccomandazioni ai parroci, ai sacrestani e ai superiori per ripulire e restaurare le chiese e per adornarle di tutte le suppellettili necessarie al culto.

Tra le numerose opere realizzate in Roma e fuori del suo territorio in previsione dell'Anno Santo del 1700, si pone la trasformazione del complesso ecclesiale e monastico di Santa Maria degli Angeli, Certosa di Roma.

Intesa da Michelangelo come entità architettonica pura, priva di partiture decorative, che ne avrebbero alterato la solida organizzazione e l'incisiva struttura, ancora legata all'edificio termale romano, questa chiesa subisce nel primo cinquantennio del secolo XVIII una profonda trasformazione che ne cancella l'originaria facies michelangiolesca.

Le scarne superfici murarie vengono via via arricchite di decorazioni secondo un gusto in cui coincidono le due linee di orientamento culturale dell'ambiente artistico romano degli ultimi anni del sec. XVII e degli inizi del sec. XVIII: da un lato il tardo Maratti e i suoi seguaci, fautori della fusione delle opposte tendenze, classica e barocca, con scelte cromatiche di più chiare tavolozze e con spregiudicate anticipazioni di vivacità di fattura e di penetrazione psicologica; dall'altro Francesco Trevisani che, seppur legato a una certa convenzionalità devozionale, riesce a staccarsi in parte da essa con ariose composizioni dai colori chiari e dal fare pittorico venezianeggiante.

L'avvio a questo radicale cambiamento fu dato dal Priore della Certosa, Giovanni Maria Roccaforte, che fece chiudere il vestibolo verso la strada Pia per la creazione di una cappella in onore di S. Bruno, santo fondatore dell'ordine dei Certosini di cui divide il patronato con S. Giovanni Battista.

Realizzata su progetto e con la direzione di Carlo Maratti, la cappella fu decorata con forte senso scenografico a finte prospettive.

Quattro colonne di serpentino, con grossa cimosa superiore rocaille, inquadrano la cornice dorata della pala d'altare ove è la raffigurazione dell'Apparizione della Vergine col Bambino e di S. Pietro a S. Bruno e ad alcuni monaci certosini. All'intorno è suggerita la concavità di un'abside con nicchie e statue.

Nella volta, entro edicole mistilinee, sono raffigurati con grande vitalità plastica i quattro evangelisti e, nell'occhio centrale, è una gloria di cherubini ed angioletti intorno al monogramma di Maria Ausiliatrice che spicca in un sole raggiante.

Le numerose guide di Roma, contemporanee o immediatamente successive alla realizzazione di tale decorazione, ne citano i singoli esecutori. Si tratta di artisti allievi del Maratti i cui nomi si ritrovano insieme in più opere del primo quarto del Settecento romano. Essi vi fondono esperienze maturate alla scuola del Ferri e del Gaulli con il gusto tutto classicistico del Maratti.

Il Pascoli nella vita di Odazzi parla diffusamente di come la scelta della committenza certosina per l'esecuzione della pala d'altare della cappella del fondatore dell'Ordine si sia indirizzata su Giovanni Odazzi e di come il suo schizzo a matita e "l'abbozzetto fattone susseguentemente" fosse piaciuto anche al Maratti, che, in precedenza, aveva invece dimostrato una certa perplessità sulla scelta dell'artista operata dai monaci. Sempre il Pascoli ci dà notizia della prima messa celebrata su quell'altare dal Card. Albani prima di "entrare in conclave" e di essere eletto papa col nome di Clemente XI. Sappiamo che il cardinale entrò in conclave il 9 ottobre 1700. Il tutto fa supporre, dunque, che l'esecuzione della pala dovette avvenire tra.i11699 e il primo semestre del 1700 e che tutta la decorazione della cappella era già ultimata alla data della consacrazione.

Presso il Gabinetto Nazionale delle Stampe di Roma esiste un nucleo di disegni del Fondo Corsini attribuiti al Bicchierai ove sembrerebbe di poter individuare studi del Bicchierai stesso per alcuni particolari di questa decorazione, come ad esempio, schizzi di putti e angeli reggifestoni, più ancora, studi, più volte riproposti con minime varianti, del simbolo mariano entro un turbinio di cherubini e nubi.

Benedetto XIII Orsini adottò vari provvedimenti in favore della Certosa di Roma, S. Maria degli Angeli. Il 14 febbraio 1727 concesse al procuratore generale dell'Ordine, padre Vincenzo Dinelli, la possibilità di vendere oggetti acquisiti in vario modo dal monastero, stabilendo che il sesto del ricavato potesse essere impiegato "nell'ornamento della Chiesa e commodo del monastero".

Lo stesso papa diede l'avvio a importanti trasformazioni che resero, successivamente, inevitabili i lavori vanvitelliani nella chiesa: valutandone le ampie dimensioni e le sue vaste superfici libere da decorazioni vi fece trasferire, donandoli ai padri certosini, alcuni dei dipinti che si trovavano in S. Pietro e che si stavano rovinando per l'umidità.

Clemente XII e Benedetto XIV proseguirono l'opera di trasferimento dei quadri iniziata da papa Benedetto XIII. In un grande cartiglio sopra la porta di ingresso della basilica un'iscrizione del 1750 ricorda:

"Benedicto XIV Pont. Max
Quod in Vaticana Basilica collocatis
e vermiculato emblemate structis aliquot tabulis
egregias picturas inde amotas huc transferri iusserit
Cartusianos ad nobilissimam aedem exornandam
tanto munere impvlerit Carth. Ordo."

Il trasporto dei dipinti fu avviato nel 1725 e i primi quadri furono collocati nel presbiterio, ove, fino a quel momento, era posizionato il coro dei monaci. Non essendo stata realizzata, difatti, la costruzione del coro che Michelangelo aveva progettato al di sopra della sacrestia, gli stalli erano stati collocati lungo le pareti del presbiterio secondo quanto testimoniato da diverse incisioni con vedute interne di Santa Maria degli Angeli della fine del sec. XVI e degli inizi del sec. XVII. In coincidenza con il trasferimento dei dipinti petrini si provvide a spostare gli stalli nella vecchia sacrestia, la cappella dell'Epifania, per ripristinare l'officiatura del coro in clausura monastica. Una lapide ricorda che il papa stesso consacrò l'altare dell'Epifania il 6 ottobre 1727:

"Benedictus XIII Pont. Max. Ord. Praed.
Alatare Hoc Epiphaniae D.N.I.C. Consecravit
Die VI Octobris MDCCXXVII
Omnibusque Anniversaria Die Ipsum invisentibus
indulgentiam annorum I. et totidem quadragenaru perpetuo
est elargitus.

Tale data si può senz'altro prendere come terminus ante quem sia per: i lavori di decorazione voluti dai monaci in quella sala e nell'altra attigua, sia per i lavori di spostamento e ricollocazione degli stalli del nuovo sito.

La cappella dell'Epifania, che prende il nome dalla cinquecentesca pala d'altare su lavagna rappresentante l'adorazione dei Magi, è riccamente decorata sulla volta e sulle pareti con una complessa e armoniosa composizione ricca di variazioni cromatiche.

Nella volta a padiglione è la gloria di S. Bruno che, su una nube sorretta da angioli e puttini, ascende in cielo ove sono il Cristo e la Vergine, anch'essi su nubi tra angeli e cherubini. Nella fascia più in basso, alternate a putti reggicartigli e derme, sono raffigurate la Fede, proposta in due diverse iconografie, la Speranza e la Carità (figura 74). Al di sotto, nella fascia di raccordo tra parete e volta, sono rappresentati i quattro evangelisti alternati ai dodici apostoli raffigurati entro cartigli sorretti da putti alati.

Sulle pareti, scene relative alla vita di S. Bruno (l'apparizione della Vergine a S. Bruno (figura 75); Papa Vittorio III conferma l'istituzione dell'ordine dei Certosini; S. Bruno inginocchiato in preghiera davanti al crocifisso; rifiuto del vescovato di Reggio offertogli da Papa Urbano II e distacco dagli onori del mondo).

Aperta rimane a tutt'oggi l'attribuzione delle decorazioni di questa cappella. Lo Enggass ha pubblicato nel 1977 il manoscritto di N. Pio datato 1724. A pag. 70 si legge a proposito del Garzi: "... vi ha dipinto tutto il coro dove offitiano li detti PP. con bellissimi ornamenti e quantità di figure che quanto più è opera scomoda e laboriosa, tanto più da questo gran virtuoso è stata fatta speditamente e con somma facilità".

La data di questo manoscritto restringe i tempi dell'esecuzione delle decorazioni del nuovo coro ed è vicina alla data di morte del Garzi (1721). Si verrebbe, dunque, a confermare l'attribuzione al Garzi dell'insieme decorativo della Cappella dell'Epifania, fatta già dal Matthiae sulla scorta di quanto accennato dal Nibby e di paragoni stilistici con altre opere sicure dello stesso artista, come la decorazione della volta di Santa Caterina a Magnanapoli, e riproposta più di recente dal Sestieri (Commentari, 1972).

Risulta discutibile invece la tesi sostenuta da E. Schleier di un intervento nella decorazione di Giovanni Odazzi.

Alcuni passi del Diario Ordinario del Chracas, che riportano un consistente elenco di lavori realizzati in Santa Maria degli Angeli a partire dal 1742, ci aiutano a conoscerne alcune poco note fasi costruttive e ci permettono di considerare quanto le trasformazioni avvenute nella chiesa in quell'epoca fossero ben accette ai contemporanei.

All'8 settembre 1742 viene ricordata la benedizione fatta dal Card. Camillo Cybo, a quel tempo Cardinale Titolare della chiesa, al cimitero fatto costruire a sue spese sotto la cappella "che sarà Cappella privata situata propriamente nell'ingresso, che si fà nella sagrestia di quella chiesa a mano sinistra" e inoltre viene precisato che la cappella stessa "per quelli che appartiene ai materiali può dirsi ora quasi terminata; restando però da compirsi gli ornati di essa al di cui lavoro già si è dato principio". Al 22 settembre 1742 è annotata la consacrazione dell'altare sotterraneo della nuova Cappella Cybo effettuata da Monsignor Vicentini, arcivescovo di Teodosia. Il cardinale Cybo stesso vi aveva collocato, insieme alle numerose reliquie che egli conservava con venerazione nel suo palazzo e che aveva trasferito nella chiesa di cui era titolare, le reliquie dei quattro Dottori della Chiesa: San Gregorio, San Girolamo, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino.

Presso l'Archivio di Stato di Roma esiste un elenco delle 134 reliquie raccolte dal Cardinale Camillo Cybo nell'arco della sua vita e poi trasferite nella cappella della Certosa con atto di donazione del 1742 ai monaci con la condizione che non venissero mai spostate da quel sito nè in parte nè nella loro totalità.

Il Moroni ci informa che lo stesso Cardinale Cybo vi fu sepolto nel 1743. E ancora il Chracas, parlando di una celebrazione di Messa fatta dal Papa il 9 ottobre 1745 in occasione della festa di San Bruno, aggiunge: "Si osservò del tutto terminata la nobile Cappelletta superiore fatta principiare dalla eh. memoria del Card. Camillo Cybo ... ove si custodisce un numero considerabile di Sagre Reliquie. . . ".

Al 15 ottobre 1746 si dice che "si è fatto principio ai lavori di una nuova Cappella da erigersi incontro a quella di S. Brunone sull'andare, a similitudine della stessa; e inoltre sono stati chiusi di muro tutti li 4 antichi arconi esistenti nella crociata della medesima chiesa, per collocarvi, come dicesi, alcuni grandi quadri di ottima pittura".

Quanto affermato nel Diario Ordinario del Chracas trova diretta conferma nei documenti d'archivio pubblicati da A. Schiavo nel 1954 e relativi a una convenzione del 6 maggio 1746 per la costruzione di una cappella con la spesa di 1500 scudi.

Benedetto XIV aveva concessa nel luglio 1743 l'introduzione della causa di beatificazione del certosino Card. Nicolò Albergati, presso la Congregazione dei Riti. Questa, il 1 agosto 1744, aveva espresso voto favorevole e quindi, il 25 settembre dello stesso anno, il papa aveva emanato il decreto "Singulare divina e providentiae" di beatificazione del Vescovo di Bologna e Cardinale del titolo di Santa Croce, cioè dell'antica Certosa di Roma. Proprio a questa figura di certosino di recente beatificazione i monaci vollero dedicare la nuova cappella "in tutto e per tutto uniforme all'altra che già esiste in detta chiesa dedicata a San Bruno". La sorveglianza nella esecuzione delle opere fu affidata all'architetto Clemente Orlandi. Anche questa cappella, come quella di S. Bruno, è decorata con finte architetture e figure allegoriche.

Al centro della volta è lo Spirito Santo in una Gloria di Cherubini (figura 76).

All'intorno, entro cornici simili a quelle della volta della cappella di S. Bruno, si hanno i quattro Dottori della Chiesa: San Gregorio, San Girolamo, Sant'Ambrogio, Sant'Agostino.

Autori di questo insieme decorativo furono Antonio Bicchierai e Giovanni Mezzetti. Per la pala d'altare raffigurante un miracolo del Beato Albergati il Chracas, al 26 luglio 1749, parla di una commissione del Papa al Bolognese Ercole Graziani. Questi avrebbe realizzata in Bologna e poi portata in Roma l'opera". .. ad effetto di donarlo alli PP. Certosi, per doverlo collocare nel nuovo altare dedicato al Beato sudetto, nella loro Chiesa di Santa Maria degl'Angeli alle Terme, che presentemente si riabbellisce e rimoderna con tanti nobili ornati e quadri sceltissimi di rinomati autori donatigli parimenti dalla pia munificenza della Sant. Sua, il qual vaghissimo lavoro in d. chiesa è gionto oramai a buon termine".

Con l'avvicinarsi dell'anno santo 1750 il Card. Vichi, allora titolare della chiesa, e Padre Montecatini, priore della Certosa, sentirono l'esigenza di un intervento rinnovativo del complesso ecclesiastico volto a ricomporre quella unità architettonico-decorativa della chiesa che si era persa nel succedersi dei diversi episodi costruttivi e decorativi realizzati nel passato senza un unitario progetto di base che tenesse conto della globalità del sito. L'architetto Luigi Vanvitelli fu incaricato nel 1749 di progettare l'operazione di recupero omogeneo del complesso architettonico.

A questa fase di nuovo assetto vanvitelliano del presbiterio si possono far risalire i dipinti murali e gli stucchi della volta del presbiterio e dell'abside.

Nella volta del presbiterio si ha un grande ovale con cornice articolata, ove è dipinto lo Spirito Santo in Gloria circondato da cherubini tra turbinii di nuvole.

Nell'imbotte dell'arco si hanno angeli che sorreggono una corona di stelle e trofei a soggetto cristiano (figura 77).

Tali decorazioni sono attribuibili ad Antonio Bicchierai, artista scolaro del Conca e del Gaulli con caratteristici influssi maratteschi, attivo a Roma dal 1706 alla metà del secolo XVIII e presente in più riprese nelle diverse fasi decorative della certosa romana. Interessante per una più approfondita conoscenza dell'attività di questo artista risulta il volume di disegni conservato presso il Gabinetto Nazionale delle Stampe di Roma. In particolare, a proposito delle decorazioni della volta del presbiterio, ho potuto ritrovare alcuni studi inediti che qui si presentano.

Il foglio EC. 128912 (figura 78) risulta essere uno studio preparatorio di un particolare della decorazione realizzata nell'imbotte dell'arco trionfale. Gli angeli che sorreggono la corona stellata, rapidamente schizzati dall'artista per fissare immediatamente l'idea creativa, sono tracciati con finezza di tratto e con modulati passaggi da linee vigorose e spesse a linee più sottili e ad altre ancora appena lievemente accennate per suggerire effetti plastici. L'opera realizzata non presenta varianti rispetto a questo studio preparatorio.

Un altro disegno, F.C. 128945 (figura79) è preparatorio al dipinto murale realizzato nella volta del presbiterio. In alto a destra è riportata la scala in palmi per la sua successiva trasposizione sul supporto murario. Con un "ductus" di penna scorrevole, continuo e disinvolto, l'artista fissa i motivi che poi realizzerà, con notevoli varianti, nella versione finale. La raffigurazione dello Spirito Santo è posta al centro della composizione ed intorno ad essa è un turbinio di angeli, putti alati e cherubini.

Notevole è il senso di equilibrio di questa composizione armonicamente resa con l’ intrecciarsi e il susseguirsi di linee curve che ne fissano i contorni con notevoli effetti chiaroscurali. La realizzazione finale differisce da questo schizzo per una maggiore semplicità compositiva, essendosi voluto dare maggiore rilevanza alla figura della colomba dello Spirito Santo. Le figure angeliche infatti, che nel disegno erano di notevole dimensione e assumevano un valore preminente rispetto alla figura centrale, furono sostituite da volti di cherubini, posti su più piani di profondità suggeriti dallo spessore e dal colore delle nubi.

La chiesa acquisì, in seguito alle trasformazioni settecentesche, una ricca e varia gamma coloristica sia con le decorazioni parietali a finti marmi rossi, verdi, grigi, sia con i dipinti petriani, sia con gli inserti marmorei pavimentali della meridiana e degli stemmi certosini, sia con quelli parietali delle colonne in granito rosso e dei capitelli di marmo bianco.

Ben poche risultano invece in essa le note decorative plastiche. Si tratta soprattutto di monumenti funebri che hanno caratteristiche semplici ed essenziali e contribuiscono a far assumere al complesso un senso di ufficialità e solennità. Nel vestibolo circolare si ha il monumento sepolcrale di Carlo Maratti eseguito, in marmi policromi, su suo disegno e fatto erigere nel 1704, quando l'artista era ancora in vita. Il busto in marmo bianco fu realizzato dal fratello Francesco. Lo stemma gentilizio della famiglia sovrasta una grossa base in "misto rosso" ove, in un drappo marmo reo nero, è incisa l'iscrizione funebre.

Nella Cappella del Crocifisso è il monumento funebre di Pietro Tenerani, a forma di edicola sovrastante una mostra di porta entro cui è il busto dell'artista, probabile suo autoritratto dall'espressione severa e dalle forme fortemente incise.

Più recenti e legati al carattere di ufficialità assunto dalla chiesa, ormai sede di funzioni religiose di Stato, sono i monumenti sepolcrali dei tre maggiori protagonisti della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale: quello di Armando Diaz, fu disegnato da Mufìoz; quelli di Thaon de Revel e di Vittorio Emanuele Orlando si devono a Pietro Canonica.

Nel diario del Chracas, al 15 ottobre 1768, è citata come appena messa in opera "nell'entrata a mano destra" la statua raffigurante S. Bruno di Jean Antoine Houdon. All'artista francese, a Roma dal 1764, il Procuratore Generale dei Certosini, francese anch'egli, commissionò due statue grandi quasi il doppio del vero raffiguranti San Bruno e San Giovanni Battista, prototipo delle virtù e degli ideali dell'ordine. Le due statue dovevano essere poste nelle nicchie create dal Vanvitelli appena oltre il vestibolo della chiesa. Delle due opere commissionate, quella di San Giovanni Battista, mai tradotta in marmo, ma realizzata in gesso, degradata a causa dell'umidità che ne aveva corroso l'armatura metallica di sostegno, si frantumò nel 1894 e andò perduta. Per la preparazione di questa statua l'Houdon compose un modello destinato, in seguito, ad essere replicato in innumerevoli copie e ad essere fatto oggetto di studio da numerose generazioni di studenti di Belle Arti: l'Ecorché, potente studio anatomico di muscolatura di uomo in grandezza al vero.

Il San Bruno, eseguito in marmo, è tutt'ora nella nicchia. Già il Cicognara, che ne apprezzava l'esecuzione preferendola all'immagine di egual soggetto realizzata per la basilica vaticana dallo, Slodz, maestro dell'artista francese, ne rivendicava l'attribuzione all'Houdon nel momento in cui a Roma lo si stava attribuendo a Pietro Legros. Nella statua del santo fondatore dell'Ordine Certosino l'artista francese ha saputo imprimere caratteri nuovi, mettendo a profitto lo studio delle sculture antiche e riannodandosi ad una tradizione più remota. Al di là dell'interesse per il modellato veristico della testa o delle mani scheletriche, proprie dell'immagine di asceta, notevole intensità sprigiona dalla figura, colta in tacita meditazione, nella espressività del capo reclinato.

Ad una donazione (1834) dello scultore tedesco Federico Pettrich risalgono le sue due statue in gesso raffiguranti gli Angeli della Pace e della Giustizia posti nella Cappella del Beato Albergati. Dal documento riportato in appendice risulta che lo stesso artista scelse per esse il sito dove dovevano essere collocate ritenendo lo il più idoneo "per grandiosità e luce necessaria". Si tratta di fredde raffigurazioni neoclassiche in cui il Pettrich sembra essersi compiaciuto nella resa accurata di alcuni particolari, quali i capelli intorno ai volti minuziosamente precisati in singole ciocche e boccoli a suggerire calcolate vibrazioni di luce e vivaci movimenti chiaroscurali colmando, così, con virtuosismi tecnici la carente convenzionalità della composizione. Nel 1864 vennero commissionati dal Priore Giuseppe Maria Rivara al giovane scultore Innocenzo Orlandi per trecentonovantadue scudi due gruppi statuari da porsi ai due lati del nuovo altare maggiore. Si tratta di una "Cattedra" e di un "Lettorio" in marmo bianco, firmati e datati "I. Orlandi 1866". La cattedra, fredda e povera ripresa di forme romaniche, poggia su un leone e un toro accovacciati. I semplici braccioli terminano con due teste di angeli. Il dossale è decorato con un rilievo a stiacciato raffigurante due monaci certosini; in alto si hanno il simbolo mariano e le sette stelle, richiamo diretto agli angeli cui la chiesa è dedicata.

Il secondo gruppo statuario commissionato all'Orlandi fu l'angelo portamessale, con ai piedi un'aquila, figura chiusa nella sua austerità, bloccata senza tempo in uno spazio che è tutto suo, privo di aperture col mondo circostante, impreziosita dalla plastica levigatura del marmo i cui saldi volumi sono ammorbiditi dai panneggi sottilmente delineati. Nella cappella di San Bruno furono successivamente collocate, in posizione simmetrica rispetto a quelle del Pettrich nella opposta cappella dell'Albergati, due statue raffiguranti la Meditazione e la Preghiera, datate rispettivamente al 1874 e al 1875. Si tratta di copie in gesso di quelle realizzate dal fabrianese Fabi-Altini nell'ingresso del cimitero monumentale del Verano, figure maestose di donne rese in buone forme neoclassiche con enfasi oratoria e vacua teatralità con forte senso di serena e compassata monumentalità.

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