“ Thermas Diocletianas millium sanctorum Martyrum sudoribus pro fidei
confessione
ibi destinatorum extructas gentilium corporibus abluendis omnique potiunda voluptate
dicatas…..” (da una pianta delle Terme di Tiberio Alfarani)
L’attenzione di chi passa nelle vicinanze di S. Maria degli Angeli non
può non restare colpita dalla visione degli imponenti avanzi delle Terme
di Diocleziano, le più grandi di Roma.
Una iscrizione dedicatoria della quale restano frammenti al Museo Nazionale
Romano, trascritta da un anonimo tra l’VIII e il IX secolo e che era ripetuta
più volte nell’interno delle Terme, dice: “i nostri signori Diocleziano e Massimiano seniori invitti augusti, padri
degli imperatori e dei cesari, e i nostri signori Costanzo e Massimiano invitti
augusti e Severo e Massimiano nobilissimi cesari quelle Terme Felici Diocleziane,
che Massimiano Augusto tornando dall’Africa aveva con la maestà
della sua presenza provveduto a far costruire e aveva consacrato col nome dell’Augusto
suo fratello Diocleziano, acquistati degli edifici per le necessità di
tanta grandiosa opera (pro tanti operis magnitudine) dopo averle con ogni ornamento
finite, dedicarono ai diletti romani” (v: Paribeni R. “Le Terme
di Diocleziano e il Museo Nazionale Romano”. Libreria dello Stato –
Roma).
La colossale costruzione, iniziata verso il 298 d.C. , ebbe termine in meno
di otto anni nel luglio del 306. Copriva un’area di 130.000 mq. ed era,
secondo il Vasi (v. Itinerario istruttivo di Roma, 1791, T.I., 240), “di
figura quadrata ed ai quattro angoli aveva quattro fabbriche rotonde”.
Corrispondeva, press’a poco, all’area ora compresa: a nord, palazzo
della Corte dei Conti – Piazza S. Bernardo; a sud, Via Viminale –
Piazza dei Cinquecento; ad est, Via Gaeta; ad ovest, piazza dell’Esedra.
Sono tuttora visibili tre delle sale circolari: una, trasformata nella Chiesa
di S. Bernardo sita nella piazza omonima, l’altra è riconoscibile
all’esterno in Via Viminale, a lato della Casa del Passeggero, prima ridotta
a carcere e poi a magazzino di granaglie; la terza è la bellissima Rotonda
dove per tanti anni ha avuto sede il Planetario ed attualmente è diventata
una dipendenza del Museo Nazionale Romano: quest’ultima però non
era sistemata ai quattro lati angolari del perimetro delle Terme ma all’interno
di esse.
Dei 130.000 mq. di superficie che occupava l’edificio un buon quarto era
costituito dall’area termale propriamente detta ed aveva come parte centrale
tre spaziose sale che dalla differenza della loro temperatura prendevano il
nome di “Frigidarium, Tepidarium, Calidarium”, come in uso in tutti
i bagni romani.
Le Terme di Diocleziano potevano contenere 3.200 bagnanti per volta, il doppio
di quelle di Caracalla; il solo frigidario occupava un’area di m. 105x45
senza calcolare le profonde nicchie che si aprivano sui lati lunghi, riccamente
adorni di gruppi statuari e di fontane.
Piccole scale a chiocciola davano accesso ai ballatoi ed alle terrazze. Nel
centro dell’emiciclo, attuale imbocco di Via Nazionale, era l’atrio
(cavea). L’ingresso principale dalla parte opposta in Via Volturno.
Il corpo di fabbrica era circondato da una corte con esedre e sontuosi ambienti
all’intorno, per le frizioni e la profumeria, la ginnastica, i giochi.
Non mancavano le sale di conversazione (in genere le Terme erano frequentate
la mattina dalle donne e il pomeriggio dagli uomini), le palestre, le biblioteche:
eldorado insomma di delizie “acciò non meno il virtuoso che l’ozioso
vi trovasse il suo ricovero”.
Venari, lavari, ludere, ridere, hoc est vivere, così un’iscrizione
dell’epoca.
Per offrire un’idea della vastità dell’ambiente ne è
piccola testimonianza quella “sorprendente tazza di porfido rossa”
che orna il centro della sala rotonda del Museo Vaticano…un “unicum
nel suo genere, di un sol masso…di 14 metri e 40 centimetri di circonferenza”
(Nibby e Porena).
Tra la fine del III secolo e l’inizio del IV la figura di Diocleziano
campeggia sull’impero di Roma per la ferocia dell’ultima persecuzione
cristiana che porta il suo nome. Per molti anni l’imperatore s’era
mostrato piuttosto tollerante verso i cristiani, ma gli era vicina la “la
mala bestia” , come scrive Lattanzio: il collega , associato all’impero,
Massimiano Galerio che lo spinse, nel 903, a dichiarare la persecuzione che
rese Diocleziano tristemente celebre.
Nel maggio 304 l’editto venne esteso a l’Urbe e a tutto l’Occidente
e l’esecuzione fu immediata e spietata (v. Eusebio: De mortibus persecutorum).
Esso stabiliva la pena di morte a tutti coloro che non volessero apostatare
dal cristianesimo e tutti i mezzi furono escogitati per costringere i cristiani,
considerati nemici di Roma e dell’impero, a rinnegare la loro fede.
Fu questo editto che dette alla Chiesa il maggior numero di martiri. In certe
plaghe dell’impero si fecero vere stragi. Il Marucchi (Eléments
d’archéologie chrétienne p. 60 e 61) narra: “…les
chrétiens furent condamnés surtout “ad metalla” c’est-à-
dire aux carrières et sablonnières d’où l’on
tirait les matériaux pour les grands monuments de Rome et où l’on
taillait les colonnes. Les Thermes Dioclètien étaient en briques
revêtues
de marbre; certainement des chrétiens furent employés à
leur costruction, spécialement à l’extraction du marbre”.
Fra i confessori condannati ai lavori delle Terme si menziona S. Saturnino,
seppellito sulla Via Salaria (cimitero di Trasone e Saturnino): nell’antico
indice dei cimiteri è chiamato “coemeterium Thrasonis ad S. Saturninum
Via Salaria”. I compilatori delle antiche topografie ci additano in quel
luogo una chiesa di S. Saturnino. E Trasone è nominato negli Atti di
S. Susanna ed in quelli di S. Marcello, ove si dice che questo ricco personaggio
romano sovveniva del suo i cristiani, specialmente condannati ai lavori nelle
Terme, e aveva seppellito molti martiri nel podere di sua proprietà sulla
Via Salaria; poi fu anch’egli ucciso per ordine di Massimiano (v. Armellini
M. : Antichi cimiteri cristiani” pag. 209).
Ma altri martiri si ricordano, pur essi legati alla vicenda edilizia delle Terme
di Diocleziano: Sisinnio e Ciriaco, creati diaconi dal pontefice S. Marcello,
i quali con fraterna carità si prodigavano per soccorrere nella dura
fatica i deboli e i sofferenti, e S. Largo e S. Smaragdo.
In memoria dei patimenti sofferti da questi invitti eroi della fede, i posteri
cristiani, appena liberata la chiesa dalle persecuzioni, consacrarono una piccola
porzione delle Terme a S. Ciriaco, e il titolo cardinalizio “S. Ciriaco
in Thermis”, che fu tra i tre più celebri di Roma, durò
sino a Paolo III. Più tardi, e cioè nel XVI secolo, la memorabile
chiesetta, già tanto onorata, venne demolita per ragioni, forse, cui
accenneremo.
Numerosi furono però i cristiani costretti a lavorare come schiavi alle
Terme, come si rileva dagli “Atti della Passione di Papa Marcello”,
manoscritto della fine del V secolo. Alcuni fanno risalire tale numero a 40.000
(Fulvio, “Antiq. Urb. Romae, I,III, p. XLVIII” e Francesco Albertino:
“De mirabilibus nova et veteris”, p. XII).
Di essi, ad opera finita, ne rimanevano in vita 1.203 che furono, per ordine
di Massimiano, fatti decapitare insieme con il loro compagno e tribuno S. Zenone,
nel luogo stesso ove era stato decapitato S. Paolo.
Il Panciroli (“Tesori nascosti nell’alma città di Roma”,
p. 198) precisa: “alle Acque Salvie dov’è la chiesa di S.
Maria Scala Coeli”. E aggiunge: “Lasciarono quei santi cristiani
memoria della lor santa fede improntando in taluno dei mattoni che cocevano,
il segno della santa croce, de’ quali ancor oggi se ne vanno trovando
fra queste ruine”.
Col passar dei secoli le Terme di Diocleziano cominciarono ad acquistare pessima
fama e non è escluso che essa dovette contribuire all’abbandono
della chiesa di S. Ciriaco, i cui avanzi si rinvennero nel 1874 durante gli
scavi del palazzo del Ministero delle Finanze verso l’angolo di Via Cernaia
e via Pastrengo.
Non si spiegherebbe la soppressione del vetusto titolo, la cui origine, come
abbiamo visto, risaliva alla epoca delle persecuzioni.
Il destino delle Terme poteva dirsi segnato fin dall’epoca di Costantino.
Gravi danni in seguito subirono col sacco di Roma e l’incendio di Alarico
(410), poi con l’assedio di Vitige nel 537, che tagliò gli acquedotti.
L’interruzione dell’acqua dette il colpo di grazia provocando l’abbandono
della zona da parte della popolazione e il colossale edificio restò vuoto
e abbandonato nel generale squallore.
Da allora gli avanzi delle Terme divennero il rifugio di gente di malaffare.
Le aule maggiori furono adibite a magazzini e fienili, le rotonde a cavallerizze
o maneggi o per domatori di cavalli e molti altri ambienti in rovina servirono
come ritrovo e nascondiglio a falsari, banditi, cortigiane. In questi luoghi
si ricordano – dice il De Angelis - (vedi bibliografia) le orge della
Vannozza e il fratricidio del famigerato Duca Valentino Borgia.
Altra tragedia sullo sfondo di queste rovine è quella accaduta nella
vicina Villa Albani ove viveva il nipote del cardinale Felice Peretti (poi papa
Sisto V) e Vittoria Accoramboni sua bellissima sposa. Essa, fin da giovinetta
aveva destato viva passione nell’animo di Paolo Giordano Orsini. Una notte
Francesco Peretti chiamato da un falso biglietto del cognato, Marcello Accoramboni,
uscito dalla sua villa presso le Terme, fu assalito ed ucciso dai sicari dell’Orsini,
appostati tra le rovine.
Il Montaigne, che visitò le Terme il 5 ottobre 1506, racconta di avervi
trovato un italiano già schiavo dei turchi che faceva giuochi prodigiosi
a cavallo. Esercizi del genere furono rinnovati dalla singolare sveltezza di
alcuni inglesi nel maneggiare “in mille guise i cavalli, destando l’ammirazione
di tutta Roma” (vedi Antol. Rom. T.III, p. 113).
Al fine di salvare quanto restava di utilizzabile nelle Terme, s’era pensato
fin dal secolo XI, quando ancora esisteva la chiesina di S. Ciriaco, di edificare
una Certosa, ma il tentativo cadde per una serie di difficoltà.
Il Nibby (v. bibliografia) che con maggiore cura ed ampiezza di ogni altro espose
le vicende delle Terme di Diocleziano, scrive che anche Urbano V, nel gennaio
1363, aveva ceduto quei monumentali avanzi a due conti di casa Orsini, Nicola
e Napoleone, per costruirvi un monastero, ma gli obblighi imposti furono tali
da rendere impossibile l’attuazione dell’idea.
Intanto la devastazione e la depredazione, iniziata già da moltissimi
anni, continuava senza ritegno: marmi, statue e altro materiale di gran pregio
vennero asportati finché non restarono che muraglie ed archi cadenti
e disadorni. Gli illustratori di Roma antica narrano che non meno di 200 colonne
furono estratte per uso di edifici privati.
Ma chi potrebbe enumerare tutto
l’altro prezioso materiale uscito dalle Terme che crollarono per le gallerie
che vennero scavate al di sotto delle fondazioni degli immensi muri al fine
di ricavarne la rinomata pozzolana della regione del Viminale?
Sotto il pontificato di Pio IV (1559-1565), la proposta di trasformazione fu
ripresa e, questa volta, attuata, anche per porre finalmente un freno ai disordini
ed agli scandali, ma bisogna dire subito che alla inflessibile volontà
di un modesto prete siciliano si deve la realizzazione del grandioso progetto.
Questo zelante sacerdote, Antonio Del Duca, giunto a Roma s’era fatto
propagatore del culto degli Angeli e aveva subito brigato per ottenere una porzione
delle Terme da trasformare in chiesa. Nel contempo era stata prospettata al
Pontefice l’opportunità di dare una più confacente sistemazione
ai certosini, i quali, a causa della malaria, doveva no durante il periodo acuto
dell’epidemia, lasciare il monastero di S. Croce in Gerusalemme per ritirarsi
in una loro casa in S. Pietro in Vincoli. Volle allora Pio IV esaudire il voto
di S. Bruno e la preghiera di Antonio Del Duca, disponendo per la costruzione
della certosa e di una chiesa tra i ruderi delle Terme di Diocleziano.
Incaricato il cardinale Morone di parlarne col Priore di S. Croce, Fratel Antonio
Satriano, questi intraprese poco dopo il viaggio in Francia, recando con sé
un Breve da consegnare al Padre Generale che si trovava alla Gran Certosa di
Grenoble. Tale Breve, riportato negli annali ecclesiastici, dice: “….già dalle lettere, che ci sovviene di aver scritto, avrai
inteso che Noi in onore della B.V.M. degli Angeli e di tutti i Santi, non senza
ispirazione divina come si può credere, abbiamo determinato di edificare
in Roma a nostre spese e della Sede Apostolica una chiesa nelle Terme di Diocleziano,
anzi di convertire le Terme stesse, le quali furono dall’empio tiranno
e crudelissimo nemico della Chiesa per i comodi e piaceri degli idolatri con
infinito sangue e sudore dei fedeli edificate, in culto di Dio e in devozione
dei medesimi cristiani. Potrai inoltre aver conosciuto dalle stesse nostre lettere
la distinzione con cui abbiamo trattato l’Ordine tuo certosino; poiché
non trovandosi in Roma comunità religiosa che non reputasse grazia o
beneficio singolare l’avere un luogo così ameno e di aria così
salubre. Noi nondimeno a tutti gli altri abbiamo voluto anteporre l’Ordine
tuo. Della quale predilezione non solo abbiamo fatto una grazia particolare
ai tuoi religiosi, ma abbiamo preteso anche di provvedere alla loro sanità.
Poiché essendo la chiesa di S. Croce in Gerusalemme, cui il loro monastero
è unito, in luogo d’aria insalubre d’estate ogni anno vi
si ammalavano gravemente e anche vi morivano.
Perciò Noi, onde condurre a termine col divino aiuto ciò che ci
siamo proposti di fare, come abbiamo promesso ai tuoi religiosi, dopo aver purgato
e consacrato quel luogo, abbiamo già cominciato ad edificare la chiesa……”.
Dato in Roma al X di Marzo 1560 anno II del nostro pontificato.
A questo Breve segue una Bolla dello stesso pontefice in data 27 luglio 1561
ove è detto tra l’altro:
“……nelle Terme di Diocleziano di Roma appartenenti a Noi
e alla Camera Apostolica si faccia una chiesa in cui il Priore (dei certosini)
e i suoi religiosi possano attendere al divino servizio ed essa chiesa si consegni
loro con le Terme per costruirvi un monastero con chiostri e celle e altre officine
secondo la regola. Con questo si provvederebbe non solo all’aumento del
culto divino, ma anche alla conservazione delle Terme, al decoro della città
e alla tutela di questa veneranda antichità. Perciò Noi che, per
quanto possiamo, vogliamo promuovere quest’opra tanto pia e lodevole,
intendiamo edificare detta chiesa a nostre spese, con l’aiuto di Dio,
sotto il titolo di S. Maria degli Angeli concediamo a detto Priore e monaci
ogni diritto delle Terme……”.
(Vedi Cancellieri Fr.”Le Terme di Diocleziano” ill. – Ms.
in Bibl. Vat. Lat. 9160, p. 41 e segg. e De Angelis, op. c.).
Il sito, come aveva detto il Papa nel suo Breve, era davvero salubre ed ameno:
l’immenso territorio circostante era stato acquistato nel secolo XVI dal
cardinale Jean du Bellay, porporato di Paolo III, che lo aveva ridotto a deliziosa
villa (Horti amoenissimi Belleyani).
Dopo la morte di lui li acquistò il cardinale S. Carlo Borromeo, ma Pio
IV, suo zio, avendolo fatto reintegrare dalla Camera Apostolica, di tutto fece
amplissima donazione ai certosini i quali ritennero il possesso di questi orti
fino al 1593, anno in cui li vendettero a Caterina Sforza contessa di Santafiora,
parente di Giulio III, che fece poi edificare la chiesa di S. Bernardo riducendo
ad edificio sacro una delle quattro rotonde che limitavano agli angoli la cinta
quadrilatera delle Terme.
Nonostante le lodevoli intenzioni di Pio IV per salvaguardare ciò che
rimaneva delle Terme, Sisto V Felice Peretti (1580-1585) demolì per sua
parte, con l’aiuto di esplosivi, circa un quinto di ciò che rimaneva
(95.000 metri cubi di muratura all’incirca) nei tre anni dal 1586 al 1589,
per servirsi dei materiali nella costruzione sia della vicina villa Peretti
Montalto che egli donò a sua sorella Camilla, sia della cappella del
presepe, nella chiesa di S.Maria Maggiore.
E altri danni seguirono via via anche nel secolo XIX, sia per l’apertura
della Via Cernaia, sia per la costruzione di Palazzo Massimi (ove attualmente
è allogato il Museo Nazionale Romano, già presso le aule a sud
- est delle Terme), sia per la costruzione del Ministero delle Finanze, del
Grande Albergo e della Stazione ferroviaria di Termini.
Ad onta di tante distruzioni le Terme sono, ancora oggi, una delle maggiori
costruzioni dell’antica Roma.
Giuseppe Valeri