S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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ANTONIO LO DUCA E SANTA MARIA DEGLI ANGELI E DEI MARTIRI IN ROMA
 

ANTONIO LO DUCA E SANTA MARIA DEGLI ANGELI E DEI MARTIRI
IN ROMA

LO DUCA Antonio – Sacerdote.
Nasce a Cefalù (Palermo) il 15-6-1491 e muore a Roma il 30 ottobre 1564 a 73 anni.

Come riferisce Caterina Bernardi Salvetti nel suo bel libro “S. Maria degli Angeli alle Terme e Antonio Lo Duca”, Antonio, all’età di 18 anni (siamo nel 1509) , venne a Roma per compiere i suoi studi e qui conobbe Monsignor Tommaso Belloroso, segretario del cardinale Righino Isvalles, che in Ungheria aveva restaurato nella sua diocesi, la Chiesa e il culto a S. Michele Arcangelo e in seguito scrisse un’importante opera sui Sette Angeli Principi.
Tornato in Sicilia (1513-1515), Antonio è ordinato sacerdote a Cefalù.
Fu Monsignor Belloroso che, promosso alla cattedrale di Palermo quale Vicario Generale, chiamò presso di sé Antonio, diventato nel frattempo un esperto Maestro di Musica, ad insegnare canto ai chierici della cattedrale assegnandogli la chiesina di S. Angelo, già in disuso, per le lezioni e le prove, alle quali spesso assistevano lo stesso Mons. Belloroso con qualche canonico ed alcuni gentiluomini.
Fu proprio in questa chiesina che furono scoperte, sotto la calce delle pareti screpolate dall’umidità, le immagini dei Sette Angeli Principi, che furono presto oggetto di devozione e motivo della riapertura al culto della chiesa.
La scoperta dette luogo alla fondazione di una Confraternita di cui fece parte lo stesso Viceré Carlo V,  allora giovane Re di  Sicilia (1516).
Fra gli altri scopi della Confraternita vi era principalmente quello  di erigere un tempio in onore dei Sette Angeli Principi.
Antonio fu nominato Rettore della chiesa di S. Angelo  e in quel periodo venne in possesso di un libretto con le storie dei Sette Angeli Principali, nel quale era scritta la profezia: “Allora questi Sette Angeli cominceranno ad essere esaltati quando la mitra vederà in vetro”.
Poiché l’allora pontefice regnante Leone X Giovanni dé Medici (1513-1522), usava l’occhialino di vetro, il prete siciliano ritenne compiuto il tempo della profezia.
Nel 1527, quando a Leone X era già succeduto il cugino Clemente VII, Giulio dé Medici (1523-1534), Antonio si recò a Roma per ottenere il riconoscimento della nuova devozione da lui propugnata, ma i suoi sforzi riuscirono vani, nonostante fosse stato nominato Cappellano del cardinale Antonio Del Monte, il quale un giorno parlando degli Angeli, citò alcuni prodigi e miracoli avvenuti per loro intervento.
Il Lo Duca allora colse l’occasione per esporre al cardinale i particolari simboli delle immagini dei Sette Angeli venute in luce a Palermo, nella chiesa di cui era Rettore.
Il Cardinale volle che fosse eseguita una copia di quelle immagini e dopo averle viste incaricò Antonio di comporre la Messa dei Sette Angeli che una volta terminata fu affidata dal cardinal Del Monte a due dotti teologi: Dionisio Laurerio dei Servi di Maria ( poi cardinale di S. Marcello), e il francescano Fra Pietro Galatino,  penitenziere di S. Pietro.
Tutti e due dettero la loro approvazione e il cardinal Del Monte volle che la Messa si dicesse, ogni giorno libero, in sua presenza.
La Messa fu fatta stampare a Venezia nel 1543 e poi a Roma nell’officina di Vincenzo Lucchino a  Campo dei Fiori nel 1555. Altre ristampe del libretto con le orazioni e le immagini dei Sette Angeli furono stampate a Napoli nel 1594 e 1604.
Di quest’ultima edizione ne parla il Padre Andrea Serrano S.J. nel suo libro citato in bibliografia.
Il cardinale che forse si riprometteva di presentare egli stesso la messa dei Sette Angeli a Clemente VII per l’approvazione, morì prima di portare a compimento il suo proposito.
Dopo la morte del cardinale, avvenuta il 20 settembre 1533, Antonio si collocò come cappellano nella casa dell’ambasciatore dell’imperatore Carlo V, il conte di Cifuentes dove rimase per quattro anni.
In questo tempo Antonio si rivolse ad alcuni cardinali, amici del defunto cardinal Del Monte, perché si occupassero dell’approvazione della messa, tra cui il cardinal Della Valle e Trivulzio.
Il cardinal Trani De Cupis promise di parlarne in Concistoro, ma le cose andavano per le lunghe.
Eletto Paolo III, Alessandro Farnese (1534-1549), Antonio si rivolge direttamente al Papa tramite il Vicario Monsignor Capizzucchi il quale non pone ascolto alla petizione cosicché il sacerdote siciliano, scoraggiato, pensa di tornarsene in Sicilia. 
Molte cariche e prebende gli vengono assegnate a Palermo e nella sua stessa città a Cefalù, ma egli rinuncia a tutte.
Comincia col cedere i suoi benefici alle suore di clausura che si sono costruite un convento presso la piccola chiesa di S. Angelo.
(La cappella con le antiche immagini fu inclusa nella clausura, ma un grande quadro riproducente i Sette Angeli fu commissionato a Vincenzo Aimola, oggi nella cattedrale di Palermo dove si trova tuttora,  mentre la chiesa e il convento sono andati distrutti in un incendio.
Nell’area retrostante la cattedrale il luogo è ricordato col nome di Piazza Sette Angeli).
Poco tempo dopo, di malavoglia, Antonio cede alle insistenze di suo nipote Antonino e ritorna a Roma ad impetrare l’aiuto dei suoi amici a favore del nipote che aveva una causa pendente presso la Curia Arcivescovile di Palermo che voleva cacciarlo dalla  parrocchia.
Era il suo terzo viaggio a Roma (1539), dove la Messa dei Sette Angeli giaceva negletta negli Uffici del Vicariato.
Appena giunto a Roma, Antonio si collocò come Cappellano in Santa Maria di Loreto al Foro Trajano, chiesa di proprietà della ricca Confraternita dei Fornai di Roma (tuttora esistente ed efficiente nelle sue opere di beneficenza per i fornai). 
Nel mese di agosto moriva Mons. Capizucchi senza che l’approvazione della Messa fosse ottenuta.  Nello stesso anno, il 19 dicembre 1539, veniva creato cardinale Dionisio Laurerio, il Teologo che aveva dato l’imprimatur alla messa composta da Antonio nel 1533 per incarico del cardinale Antonio Del Monte.
Il nipote di quest’ultimo, cardinal Giovanni Maria Del Monte era amico dell’insigne Teologo e ad entrambi era nota la devozione del sacerdote siciliano il quale, alla morte  del suo protettore, Antonio Del Monte, aveva fatto dono al giovane cardinal nipote, di una copia del quadretto con le immagini dei Sette Angeli venute in luce a Palermo.
Il Maestro di camera del giovane cardinale, Abate Bartolomeo Saluzio, divenuto a sua volta grande devoto dei Sette Angeli, sollecitava fortemente Antonio a non desistere dal suo proposito di far di tutto per affermare e divulgare la devozione ai sette principi celesti.
Nella lettera che Antonio scrive a Lucrezia Della Rovere, (moglie di Marcantonio Colonna, cugina di Guidobaldo Della Rovere Duca di Urbino che sposò in seconde nozze Vittoria Farnese, altra benefattrice di Antonio insieme alla cognata Margherita d’Austria), egli dice che “ per non aver potuto impetrare quella gratia mi trouaua con gran dispiacenza nel mio cuore, se bene non lo mostrava…”.
Ecco come egli stesso ricorda, nella sua lettera alla principessa, l’origine della sua devozione agli Angeli:
“Un giorno andando io con alcuni dottori ad intendere cantare nella Chiesina di S. Angelo presso la Cattedrale di Palermo, ov’era scuola di canto, li dottori guardando per le mura di detta Chiesa vidddero certe figure, che a pena per l’antichità si potevano conoscere, quali fecero nettare et con oglio schiarire. Trovorno sette immagini bellissime con l’historie, che io ho fatto stampare di sette Principi degli Angeli….”
Ma ormai Antonio non credeva più di riuscire a valorizzare i suoi Angeli quando un mattino d’estate del 1541 nella stessa chiesa di S. Maria di Loreto dove si trovava come Cappellano ebbe una straordinaria visione.
Antonio Duca usava dire la sua Messa quotidiana all’alba, all’altare del Crocefisso, che a tutt’oggi si vede benissimo conservato a destra dell’Altar Maggiore.
Quel mattino egli si svegliò e d’improvviso vide “una luce più che bianca” che partiva dalla sala centrale delle Terme di Diocleziano, o meglio dalle rovine di queste. In mezzo a quella luce era l’immagine di S. Saturnino, martire legato alla storia della costruzione delle Terme insieme ai santi diaconi Ciriaco, Largo, Smaragdo, Sisinnio, il ricco patrizio Trasone, anche lui martire, che insieme a S. Marcello, papa e martire, formano i sette martiri più eminenti tra i condannati alla costruzione delle immense Terme. Quella luce che indicava il luogo sacro per il ricordo dei martiri che l’avevano costruito, rivelò ad Antonio che era lì che doveva sorgere il grande tempio dedicato ai Sette Angeli.
Antonio disse la S. Messa e ancora sotto l’impressione della visione, corse poco dopo alle Terme, trovando l’ambiente centrale ancora ben conservato così come gli era apparso nella visione, e da quel momento egli non esiterà più a prodigarsi con ogni sua facoltà per promuovere un grande tempio alle Terme.
Racconta la visione avuta al cardinale di S. Marcello, il teologo Dionisio Laurerio e al segretario Bartolomeo Saluzio, il quale ultimo l’aiuta a scrivere i nomi dei Sette Angeli sulle colonne della grande galleria centrale delle Terme, allora del tutto aperta ai lati (oggi chiusi dagli altari di S. Bruno e Albergati).
Il primo progetto di Antonio fu così di fare la Chiesa “per lungo” con sette cappelle da un lato e sette dall’altro, dedicate ai Sette Angeli e ai Sette Martiri.
La realizzazione di questo progetto avrebbe richiesto e consunti ben 20 anni della vita di Antonio, sotto sette Papi.
Egli agì subito: nello stesso anno 1541 inviò una supplica a Paolo III pregandolo di confermare il culto dei Sette Angeli.
Contemporaneamente scriveva a Margherita d’Austria, infelice moglie di Ottavio Farnese, nipote del Papa, pregandola che ottenesse dal pontefice, che la prediligeva, la trasformazione in chiesa della sala centrale delle Terme.
Ma la nobile signora non ottenne nulla, né maggiore fortuna ebbe un’altra lettera che Antonio inviò al cognato di questa, cardinale Alessandro Farnese.
Nel 1543 Antonio decide di effettuare un pellegrinaggio alla S. Casa di Loreto, spingendosi fino a Venezia.
Nella chiesa di S. Marco trova sull’arco dell’altar maggiore un antico mosaico, (ora non più esistente perché sostituito nel 1576 con altri mosaici su cartoni del Tintoretto), raffigurante la Vergine tra sette Angeli e ne fa ricavare il quadro che tutt’oggi vediamo nell’abside dell’altar maggiore in S. Maria degli Angeli (fatto da ignoto autore, presenta caratteri che si approssimano alla maniera di Lorenzo Lotto, pittore che in quell’anno 1543 era a Venezia in una piccola soffitta a “Calle Sporca”).
Tornato a Roma egli accettò l’incarico di Rettore degli Orfani in S. Maria in Aquiro, pia opera promossa da S. Ignazio di Lojola, della cui confraternita era principale Deputato Angelo Massimo, (il cui zio Antonio era sovrintendente agli Scavi e alla Fabbrica capitolina), insieme a  Margherita d’Austria-Farnese duchessa di Parma e figlia di Carlo V.
Il protettore della confraternita era allora il cardinale Giandomenico Trani De Cupis, che già in passato aveva aiutato, senza riuscirci, Antonio.
Dopo qualche mese il cardinale  mandò al prete siciliano un allievo d’eccezione, il celebre abate etiope, Tesfa Syon Malhazò che tradusse in latino la Messa Etiopica in cui è nominato l’arcangelo Uriele (l’abate fu Superiore,  dal 1538 circa,  di S. Stefano degli Abissini presso il Vaticano, oggi sede del Collegio etiopico, dove una lapide lo ricorda).
Fu proprio Tesfa Syon che diede notizia ad Antonio come il nome dell’Arcangelo Uriele fosse citato insieme a quelli di Michele, Gabriele e Raffaele, nella liturgia della Messa in rito etiopico.
Tesfa Syon, Fra Pietro “Indiano”, come era chiamato da romani (allora si confondeva facilmente l’Africa con l’India) era assiduo di Casa Farnese.
Sapendo l’intenzione di Antonio di erigere una Chiesa alle Terme in onore dei Sette Angeli, si fece consegnare  il libretto che Antonio aveva fatto stampare a Venezia con le orazioni e la messa da lui composta e lo portò a Vittoria Farnese (poi duchessa d’Urbino) sorella del cardinal Farnese, ambedue nipoti del papa, perché “facesse istanza per farsi la Chiesa in dette Terme” ed una lettera Antonio scrisse pure alla madre di Vittoria, Girolama Orsini Farnese, Duchessa di Castro.
Vittoria Farnese, ancor più di sua madre, si adoperò invano presso il fratello cardinale perché parlasse al papa della cosa.
Paolo III non poteva prestare molto orecchio alle suppliche che in nome di Antonio ebbero a fargli pervenire altre illustri dame a lui devote, come Margherita d’Austria, moglie d’Ottavio Farnese e Lucrezia Rovere-Colonna,  alle quali lo stesso Antonio aveva scritto rispettivamente all’una il 13 novembre,  all’altra il 21 novembre dello stesso anno 1546 proponendo loro la devozione dei Sette Angeli e supplicandole che si adoperassero per l’erezione della chiesa alle Terme di Diocleziano.
L’interessamento  di Vittoria Farnese insieme a quello delle altre illustri dame, parenti tra di loro, cozzarono contro due grandi ostacoli: le esaurite casse dello Stato per la guerra Schmalkaldica intrapresa dall’imperatore Carlo V e la malferma salute del pontefice.
Alla fine della guerra Antonio fece un nuovo tentativo.
Con l’aiuto di Tesfa Syon e del conte Michele Della Torre, cameriere segreto di Paolo III, ottenne di essere ricevuto dal Papa, il quale per quanto riguardava la trasformazione delle Terme in chiesa gli disse “che era troppo gran macchina e la spesa sarebbe stata enorme per ridurla con opportuno decoro”.
La risposta fu più che deludente per Antonio il quale, pochi mesi dopo, chiese ed ottenne dal Papa il torrione rotondo (oggi S. Bernardo).
Ivi adunava i suoi preti poveri che portava a pregare insieme agli orfani di S. Maria in Aquiro alle Terme dove usava celebrare anche la S. Messa su un altare portatile.
Morto Paolo III, gli successe Giulio III, Giovanni Maria Ciocchi Del Monte (1550-1555), che conosceva il desiderio del vecchio Cappellano di suo zio, a cui ora si aggiungeva l’intervento del suo Maestro di Casa, Abate Saluzio.
Anche il teologo Caterino Polito, antico maestro del nuovo papa, appoggiò la causa di Antonio dopo aver rivisto la Messa e le Orazioni dei Sette Angeli, per cui tutto fu affidato a Monsignor Filippo Archinto, Vicario generale di Roma, il quale finalmente prese a cuore la cosa e con l’approvazione del papa Giulio III, firmò il decreto di consacrazione del nuovo tempio sotto il titolo di Santa Maria dei Sette Angeli.
Finalmente il sogno di Antonio si realizzava, ma per poco, perché  il prete siciliano fu cacciato dalle Terme dai nipoti del papa che tra quelle rovine preferivano “cavalcare anziché pregare”.
Antonio si rivolse allora al Papa raccontandogli quanto era successo, ma non ebbe altro aiuto che queste parole: “Messer Antonio, noi non possiamo far altro…..pregate Dio e gli Angeli che vi aiutino!”. Giulio III era completamente succube dei due nipoti che aveva nominato, uno Gonfaloniere della Chiesa e l’altro cardinale.
(Un gustoso episodio, dettato da Gustavo Colonna Brigante per la “Strenna dei Romanisti” del 1956  che, divagando tra “Angeli, diavoli, bufali”, intorno all’architetto Jacopo Del Duca, (nipote del prete di Cefalù), allievo, collaboratore e continuatore di Michelangelo, si sofferma compiaciuto su uno strano zio prete del principiante artista, uno zio prete che parlava con gli angeli, li chiamava per nome, non aveva un quattrino in tasca avendo rinunciato a tutte le prebende, ma in compenso possedeva una tenacia e volontà da vendere, tanto che non ebbe pace e non esitò a mettere su mezzo mondo fino a che vide alzarsi tra le colossali strutture di Diocleziano il grande tempio michelangiolesco e poté collocarvi il quadro con la Vergine e i Sette Angeli.
Ma notizie molto più ampie e dettagliate su questo culto vengono fornite dal libro di Caterina Bernardi Salvetti, citato in bibliografia, che consentono di ricostruire vita e vicende di questo sacerdote soprannominato “lo scemo delle Terme” dai cardinali Giovanni Battista e  Innocenzo Del Monte, - nipoti scapestrati di papa Giulio III Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, 1550-1555 - per le supposte visioni degli Angeli e che dopo avergli detto che in quel luogo essi preferivano cavalcare piuttosto che pregare, lo minacciarono di fargli fare la fine dei cristiani che avevano costruito le Terme, se non se ne fosse andato.
Il prete siciliano venne così scacciato dalle Terme con il suo altare portatile.
 Il quadro della Madonna degli Angeli fu condotto nella chiesa di S. Maria di Loreto in Roma, della quale il Lo Duca era cappellano, e collocato nella cappella del Crocifisso in cui normalmente il religioso celebrava la S. Messa  e dove egli ebbe la sua seconda visione).
Ma Antonio non desistette: una volta deceduto Giulio III, rivolse una petizione al nuovo papa Marcello II,  Marcello Cervini, che purtroppo regnò solo 22 giorni.
Una nuova petizione egli inoltrò al successore Paolo IV, Gian Pietro Carafa (1555-1559) e perfino all’imperatore Carlo V, che era stato protettore della chiesina di S. Angelo a Palermo, quando era giovane Re di Sicilia, ma senza alcun risultato.
C’era veramente da cedere alla stanchezza e alle forze avverse degli eventi; ma proprio in questo frattempo Antonio ebbe la sua seconda visione, ch’egli stesso così ci racconta:

“Alli 17 dicembre 1555, nella Chiesa di S. Maria di Loreto nella Cappella del Crocifisso, dove ho posto la tavola della Vergine Maria con li sette Angioli Custodi io dissi la Messa di essi Sette Arcangioli pregando Iddio che mi concedesse l’aiuto dei suoi santi Angioli per mettere in effetto la Chiesa di essi nelle Terme di Diocleziano.
 Finita la messa e detto il Placet tibi Sancta Trinitas ecc. baciato l’altare mi drizzai per dare la benedizione al popolo; sentivo da tutte le vene del corpo il sangue andar in alto insino alla testa e credendomi che fusse stato il sangue, nondimeno per gli effetti era l’anima la quale uscì dal vertice della testa; in quell’istante guardai giù e viddi che io stavo sopra il cielo del proprio colore azzurro e vedendomi tanto in alto ebbi paura, ero vestito delli miei vestimenti perché il corpo stava sopra l’altare vestito delli paramenti della messa, ma riconoscevo che ero io di circa 25 anni; guardai innante circa passi cinquanta viddi il cielo di fuoco, dal quale uscì fuore una turba di uomini accompagnata e mescolata d’Angeli con le mani innanti et con allegrezza dicendo: Buona nova già è stato decretato dalla SS. Trinità che la Chiesa delli sette Arcangeli Assistenti a Dio nelle Terme Diocletiane sia consacrata; donde uscivano era di cornice di fuoco, quadrata, come la porta di Concistoro di Palazzo, l’angelo più appresso era l’Arcangelo URIELE; io lo conobbi perché si rassomigliava a uno che io avea fatto dipingere di forma rossa li tempi passati; un uomo bellissimo molto mi guardava, credo che fosse stato l’Architetto di dette Terme.
Rientrata l’anima, mi voltai come se avessi risuscitato. Io stupito di tanta visione, feci la benedittione, andando al corno sinistro dell’Altare, detto il Vangelo di S. Giovanni, tornai alla Sacristia con grand’allegrezza; fu tanta la prestezza che nessuno delli auditori della Messa se ne accorse”.
Questa visione profetica doveva avverarsi soltanto cinque anni dopo, nel 1560, sotto Pio IV, Angelo dé Medici (1559-1566).
Si racconta che, essendosi recato il papa a vedere i lavori di Porta Pia, al ritorno incontrasse il sacerdote siciliano che già conosceva, il quale non mancò di rinnovare la preghiera di consacrare le Terme con l’erezione di una nuova chiesa.
Sta di fatto che il 27 luglio 1561 Pio IV emanava una bolla con la quale stabiliva che sorgesse nelle Terme una chiesa intitolata a S. Maria degli Angeli e concedeva l’officiatura di essa ai Certosini di Santa Croce in Gerusalemme; il 5 agosto successivo si poneva in forma solenne la prima pietra del nuovo edificio.
Il prete di Cefalù si vide così ufficialmente riconosciuto il culto degli angeli e poté sistemare il quadro della Vergine Maria attorniata dai Sette Angeli sull’altar maggiore dell’abside della basilica, dove si trova tuttora.
Venne così premiata la costanza del prete siciliano che tra incomprensioni, amarezze, ostacoli, aveva raggiunto lo scopo che si era prefisso mezzo secolo prima.

A prescindere dall’intensa opera svolta da Antonio Lo Duca a favore del culto degli Angeli e delle visioni che egli sosteneva di avere avuto e che lo confortavano nell’opera da lui intrapresa, si deve rilevare che la duplice esigenza di una bonifica sociale e di una riconsacrazione religiosa delle Terme dioclezianee trovò in Antonio e nella sua opera un naturale alleato.
Rientrava nel programma della Controriforma la riconsacrazione di luoghi pagani o di dubbia fama. L’espansione della città non era più polarizzata verso Campo Marzio e il futuro incremento della città era diretto verso la zona collinosa orientale, con il tracciato dell’Alta Semita (attuale Via XX Settembre) al termine della quale doveva necessariamente aver inizio la sistemazione della zona delle Terme.
Ciò non toglie nulla al valore di questo tenace, paziente sacerdote siciliano che tra umilianti incomprensioni e avversità, ha speso tutta una vita per raggiungere il suo nobile e devoto scopo.
Nella Cappella di S. Teresa, in Basilica, è esposto un busto  in bronzo a ricordo del valoroso sacerdote,  di fronte a quello di Michelangelo.
Il suo corpo riposa nel Presbiterio della chiesa ma non se ne conosce l’esatta ubicazione.
Alla parete destra una semplice iscrizione posta a cura del nipote Jacopo, così recita:

EPHITAPHIUM
Antoni De Duca siculi presbiteri cephaludensis
qui has Diocletiani thermas ante annos fere XXI
Virgini Angelorum ut extat templum
fore divinitatis praevidit
hic ossa quiescent vixit anni 73 menses 4 dies 15
obiit 30 octobris 1564
Jacobos De Duca ex testamento haeres posuit

BIBLIOGRAFIA
Bernardi Salvetti Caterina – S. Maria degli Angeli alle Terme e Antonio Lo Duca – Desclée Editori pontifici – Citta di Castello 1965 – Cap. I pagg. 153-163. Cap. II pagg. 165-171. Cap. III pagg. 174-200. Cap. IV pagg. 201-222.
Catalani  M. – Historia della chiesa di S. Maria degli Angeli causata dagli scritti di Antonio Duca di Cefalù, sacerdote siciliano, per Mattheo Catalano di Palazzolo, prete et S.V.D., ad utilità delle devote persone fedelmente composta. Ms. Vt. Lat. 8735.
Colonna Brigante Augusto – Angeli, diavoli, bufali - Strenna dei Romanisti  – Staderini Editore Roma 1956.
De Angelis Pietro – La basilica di S. Maria degli Angeli alle Terme – Roma 1926
Matthiae Guglielmo – S. Maria degli Angeli – Le chiese di Roma illustrate -Nuova serie 13 -Istituto di Studi Romani– F.lli Palombi Editori Roma 1998 – Seconda edizione - pagg. 17-19.
Serrano padre Andrea, S.J. – Los Siete Principes de los Angeles validos del Rey del Cielo, Missionero y Protectores de la tiera – Bruxelas 1707, pag. 345.
Tesfa SyonModus Baptizandi (o Messa Etiopica) – Roma 1549. Ms. Vat. Lat. Cod. Barb. B., VII-IX.
Valeri Giuseppe – Da Montelepre a Roma – in “Italia Sud” – Periodico cattolico di attualità e cultura – Anno XI n. 11 dicembre 2001 – pp. 12-13.

PAPI sotto i quali Antonio Lo Duca ha perorato la sua causa per la costruzione di una chiesa all’interno delle Terme di Diocleziano, dedicata alla S. Vergine e ai Sette Angeli.

1– Leone X – Giovanni Dè Medici                                       (1513-1521)
2- Clemente VII – Giulio Dè Medici                                     (1523-1534) 
3 – Paolo III – Alessandro Farnese                                       (1534-1549)
4 – Giulio III – Giovanni Maria Ciocchi Del Monte                   (1550-1555)
5 – Marcello II – Marcello Cervini                                        (1555: giorni 20)
6 – Paolo IV – Gian Pietro Carafa                                         (1555-1559)
7 – Pio IV – Gian Angelo Medici                                          (1559-1565)

CRONOLOGIA LO DUCA

1509 – Prima venuta a Roma
1513 -  Ritorno in Sicilia e ordinazione sacerdotale.
1516 -  Fondazione della Confraternita dei Sette Angeli.
1527 – Seconda venuta a Roma (sacco di Roma).
1533 -  Compone la Messa degli Angeli
1539 – Terza venuta a Roma
1541 – 1.a Visione
1543 -  Fa stampare  a Venezia la Messa degli Angeli.
1551 – Decreto di consacrazione promulgato da   Archinto, Vice gerente del Vicario Generale, Vescovo di Sebaste, il 10-8-1550 e dedicazione della Chiesa. Il decreto non ebbe alcun seguito.
1555 – Seconda  visione e ristampa della Messa a Roma.
1561 – Bolla di Pio IV e consacrazione della Chiesa.
1564 – Muore a Roma il 30 ottobre.


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