S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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Da Abito Nuziale a Paramenti Sacri
  L’abito nuziale della Regina d’Italia Elena di Montenegro nella sagrestia della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri in Roma

Il 2 agosto 1966, nel 70° anniversario delle nozze dei suoi genitori (24 ottobre 1896), Umberto II, dall’esilio in Portogallo – Cascais (morto a Ginevra il 18 marzo 1983), dispose che fossero ufficialmente dati in dono alla Basilica di S. Maria degli Angeli i paramenti sacri che aveva fatto ricavare dall’abito nuziale di Sua Madre e consistenti in una pianeta, due dalmatiche, tre manipoli, due stole ed un velo copri-calice.
La tradizione voleva che gli abiti nuziali della nobiltà cattolica fossero regalati alle chiese per essere trasformati in paramenti o paliotti.
Questi paramenti furono usati in molte festività e in cerimonie nuziali e perciò si degradarono essendo confezionati su basi di sete finissime.
L’Associazione Internazionale Regina Elena A.I.R.H. ha provvisto al restauro dei paramenti nel 1992, regalando anche una teca a chiusura ermetica con termoigrometro che ne controlla l’umidità e un dispositivo per un’illuminazione controllata.
Il ricamo in rilievo d’argento raffigura nodi d’amore (nodo sabaudo) e margherite in onore della suocera, la Regina Margherita, la cui bellezza fu celebrata in una lunga ode scritta nel 1878 dal poeta Giosuè Carducci.
Nella prima quartina il poeta così si esprimeva:

Onde venisti? Quali a noi secoli
sì mite e bella ti tramandarono?
Fra i canti dei sacri poeti
dove un giorno, o regina, ti vidi?

La nota scrittrice Matilde Serao (1856-1927), nella sua rubrica “Api, mosconi, vespe”, definisce le margherite, ricamate sull’abito nuziale in omaggio alla suocera “il tocco supremo del cattivo gusto di quel matrimonio reale” insistendo, pettegola, che “perfino la biancheria intima riportava le margherite”,  rincarando acida, “che le 21 toilettes cucite per il matrimonio erano davvero insufficienti per una futura regina e tutte mal riuscite nonostante le 270 sarte impiegate. Questa regina sanfedista (1), alla dote ci passa sopra, al corredo no!
E il marito, lo scrittore e giornalista Edoardo Scarfoglio (1860-1917), aggiungeva: un matrimonio fatto con i fichi secchi”
Per quanto riguarda la dote, uno statarello povero come il Montenegro non poteva permettersi granché. Infatti, il poco che Elena di Montenegro portò come dote ai Savoia fu quello che Le fu regalato dallo Zar Alessandro III di Russia il cui padre, Alessandro II, aveva tenuto a battesimo Elena e l’aveva fatta studiare in uno dei collegi più esclusivi di Pietroburgo.
La Russia aveva tutto l’interesse a tenere un piede nel Montenegro, perché la posizione strategica del piccolo Stato le permetteva di controllare la Turchia.
Ho un ricordo significativo di Elena di Montenegro.
Nel 1970 accompagnai un gruppo di anziane maestre elementari in un giro per i Balcani e in quell’occasione visitammo la piccola Reggia di Cettigne.
Nella parete di fondo della Sala delle Udienze c’era un bellissimo quadro ovale, grande quanto tutta la parete, con il ritratto della regina Elena.
Le maestrine guardandolo si commossero perché per tutta la loro vita, sopra le loro cattedre vi erano stati appesi i quadri di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena.
Una di queste scoppiò in lacrime ed io, rivolto alla mia collega, la indicai con un dito; al che la maestrina, fraintendendo, mi si rivolse inviperita, dicendo: .… a ciascuno le proprie idee!!
Vale la pena di ricordare che Leone XIII, Gioacchino Pecci (1878-1903), aveva proibito ai cardinali e ai vescovi di partecipare a quel matrimonio, essendo ancora troppo fresche le umiliazioni seguite alla presa di Roma, con l’incameramento di tutti i beni degli ordini religiosi non predicatori, la soppressione del foro ecclesiastico e del diritto d’asilo.
In effetti l’espropriazione coatta dei beni della Chiesa da parte del Governo Piemontese, pesava ancora come un macigno tra i cattolici intransigenti (papalini) e il popolo romano.
Ne è un chiaro indice questo scambio di battute fra romani e piemontesi dopo la presa di Roma.

1872
<< ( I Piemontesi) ….. Cominciorno a squaja tutto, a trattacce come cani. Fu un momento proprio brutto pè li poveri Romani. Ma a che serve, che discurri? ….. So Buzzurri. Da quel giorno (20 settembre 1870) infino adesso, nu la fanno più finita cò sto nome de progresso, mò ce leveno la vita …..
Madonna mia, si dura qua sto vento, povera Roma nostra – E’ bella e ita! >>

Gazzetta d’Italia 16 agosto 1873
<< Preghino e gridino finché voglino, non saremo noi che disturberemo ….. Le preghiere costano poco, non mettono paura e a nulla giovano: preghino allora con tutto il loro fervore, mentre noi continueremo a rimanercene a Roma (li Piemontesi). Se lo mettano bene in testa ( i Romani): ormai a Roma ci siamo e ci resteremo! >>

1) Sanfedista
I Sanfedisti erano i componenti di un movimento popolare antirepubblicano che nel 1799 coinvolse le masse contadine e gli esponenti principali del brigantaggio contro la Repubblica Partenopea.
Il movimento si organizzò attorno al cardinale Fabrizio Dionigi RUFFO col nome di “Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo.
Si trattava di bande armate, formate in maggioranza da contadini e sostenute dalla Chiesa, che nel 1799 diedero vita in molte regioni d’Italia e soprattutto in Calabria sotto il comando del cardinale Ruffo, a rivolte antifrancesi in difesa della santa fede minacciata dalle idee rivoluzionarie.
Le insurrezioni portarono alla fine dell’esperienza della repubblica napoletana e al ritorno del Borbone.
Queste masse popolari armate assunsero nelle diverse regioni italiane vari nomi: lazzari a Napoli, montanari in Abruzzo, contadini nella Terra di Lavoro.
Loro scopo era difendere la Monarchia e la S. Fede (da cui il nome di sanfedisti), dalle truppe francesi rivoluzionarie.
Questa rivolta popolare si inserisce a pieno titolo nei movimenti europei controrivoluzionari della fine del XVIII secolo, come ad esempio quello sorto in Vandea, guidati dal popolo più umile in difesa dei valori tradizionali contro le idee rivoluzionarie.
Ad imitazione di quelle del cardinale Ruffo, altre bande di sanfedisti si formarono nello Stato della Chiesa contro la diffusione delle idee liberali. Famoso e famigerato, anche per le pagine che gli dedica Riccardo Bacchelli nel suo “Il mulino del Po” è Virginio Alpi, che operava nel territorio tra Forlì e Faenza nella prima metà del secolo XIX.
Molto famoso il canto dei Sanfedisti riproposto tra l’altro nel ‘900 da numerose compagnie di canto popolare tra le quali “La nuova compagnia di Canto Popolare” che si ispira ironicamente alla Carmagnola.

Foto Archivio  
From www.santamariadegliangeliroma.it:abito_nuziale, Parrocchia

II 2 agosto 1966, nel 70° anniversario delle nozze dei suoi genitori, S.M. Umberto II, dall'esilio, dispose che fossero ufficialmente dati in dono alla Basilica di S. Maria degli Angeli i paramenti sacri che aveva fatto confezionare dall'abito nuziale di Sua Madre e consistenti in: una pianeta, due dalmatiche, tre manipoli, due stole ed un velo copri-calice.
 
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Questi paramenti di sete finissime furono usati in molte festività e in cerimonie nuziali a richiesta di numerosi sposi. Oggi sono custoditi nella Sacrestia della Basilica S. Maria degli Angeli.

(Da Carlo d'Amelio e Roberto Ventura, La Regina della Carità, Roma Natale 1993)

 

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