S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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Una Fabbrica in Abbandono
  Dal Medio Evo alla Chiesa Michelangiolesca

Le Terme di Diocleziano furono uno degli ultimi grandi edifici eretti in Roma Imperiale. Il loro significato sociale, cioè quel complesso di manifestazioni di costume, che caratterizzano il modo di vivere di una società e che danno anche il livello a cui la società stessa attraverso una serie più o meno lunga di tappe evolutive è pervenuta.

Tutte queste manifestazioni si potrebbe dire hanno nelle Terme il loro punto di convergenza. Cosicché esse assumono insieme carattere: sociale e politico. D’altra parte è fin troppo noto - gli imperatori facevano leva, per accattivarsi le simpatie del popolo su due momenti della vita del cittadino, cioè i divertimenti del Circo e l’ingresso gratuito alle Terme – in esse venivano trattati gli affari più disparati, in esse si stabilivano appuntamenti di ogni natura, ci si andava per sfoggiare toiletta e anche per prendere il bagno, il quale, soltanto sotto l’impero diviene un vero e proprio fastoso piacere per il romano. A questo tipo di costruzioni balneari si attribuì il primato dell’edilizia urbana e pertanto furono superate nel lusso soltanto dai palazzi dei Cesari.

L’architettura di quest’epoca accentua la tendenza alla funzionalità, liberandosi dell’influenza classicistica, si creano opere architettoniche nel più proprio senso della parola, strutture che, nella riduzione degli elementi essenziali e nella sobrietà della decorazione, esaltano l’aspetto funzionale di masse portanti e continuando la tradizione della grande architettura del II secolo creano in un ardito e sapiente gioco tecnico, vastissimi spazi.

Roma non più antico centro dell’Impero dopo la creazione di Costantinopoli, poi nemmeno sede dell’Impero Occidentale, era una città che aveva terminato la sua parabola ascendente e viveva ormai della sua tradizione, dei suoi splendidi monumenti carichi di memorie. Quasi non viveva nel presente, era fuori del tempo era “aeterna”.

Infatti già nel III secolo le non più floride condizioni finanziarie dello Stato che cominciava ad indebolirsi, fanno sì che nei monumenti si riconosceva la prima impronta della decadenza: i restauri erano fatti con marmi, non estratti dalle cave, la maggior parte già inattive, ma tolti da edifici preesistenti. L’unica preoccupazione era la conservazione del passato e ne fanno fede gli editti degli Imperatori come quello del 364: “Entro la città di Roma eterna nessuno dei giudici faccia una nuova opera…Diano però il permesso di restaurare ciò che è caduto in rovina”.

Le Terme ebbero assai probabilmente a soffrire i primi danni nel sacco di Alarico del 410, e difatti un’iscrizione frammentaria copiata da Fra Giocondo di Verona alla fine del secolo XV o al principio del XVI sembra accennare a restauri fatti alle Terme Diocleziane “a veteribus princibus institutas”.

Siconio Apollinare intorno al 470, ai tempi di Teodorico re degli Ostrogoti, nel carme a Cosenzio, le nomina come in pieno esercizio insieme a quelle di Agrippa e Nerone.

Sembra che all’inizio del V secolo le Terme non soffrissero notevoli danni.

Ma gli assedi, le carestie, le epidemie e gli incendi che per tutta la seconda metà del V secolo afflissero Roma, pur non avendo ancora mutato completamente la sua fisionomia, ne mostravano già evidente il deperimento.

Teodorico si accinse a riparare i danni del secolo precedente. Creò un’amministrazione speciale, che provvide ai restauri dei palazzi Imperiali del Palatino, delle Terme, dei teatri, degli acquedotti, delle fogne. I restauri furono condotti non togliendo materiali ad altri edifici, ma con materiale laterizio nuovo appositamente fabbricato. Disgraziatamente l’opera grandiosa e benefica di Teodorico fu paralizzata dall’assedio di Vitige.

Nel 537 con la guerra greco-gotica, si ebbe il completo abbandono delle Terme, quando Vitige tagliò gli acquedotti della città. Cessò allora l’afflusso dell’Acqua Marcia che vi giungeva tramite un acquedotto appositamente costruito che si distaccava dal ramo principale dopo l’attraversamento della Porta Tiburtina e che aveva il suo deposito a ridosso delle Terme in quel fabbricato che si chiamava “La Botte di Termini” in parte demolito dai Neuroni quando entrarono in possesso della Villa Montalto nella quale la Botte veniva a trovarsi e che sparì del tutto per la sistemazione della Piazza di Termini poco dopo il 1870 (figura 11).

Cessato per i più rigorosi sensi di moralità l’uso dei bagni pubblici, ridottasi la povera e spaurita popolazione di Roma medioevale a vivere nella pianura presso il Tevere, fatte le Terme vuote ad immensa inutilità, si svolse liberamente in esse per secoli la depredazione di tutti i materiali utili, metalli e legnami, statue e rivestimenti marmorei, travertini fino ai mattoni del paramento esterno delle murature che in più punti ne rimasero in malo modo scortecciate. Queste spoliazioni e le gallerie numerose che nella regione del Viminale si aprirono per la ricerca di pozzolana, provocarono il crollo delle parti laterali dell’edificio centrale. Dopo il V secolo non se ne ha più memoria della loro integrità, rinvenendosene soltanto incerte memorie negli scritti del Medio-Evo.

Nel VII secolo si completa la trasformazione di Roma da pagana a cristiana. Per le chiese si continuava a mettere a contributo il materiale delle costruzioni classiche: le vasche di marmo prezioso delle Terme abbandonate fornirono dovizie urne per le reliquie dei martiri, che dal VII secolo si cominciarono a trasportare dalle catacombe all’interno delle città, i seggi marmorei delle Terme che divennero cattedre presbiteriali. A tali regolari spoliazioni si devono aggiungere quelle dell’Imperatore Costantino II che in dodici giorni di permanenza a Roma prese quanto poté di ciò che rimaneva di prezioso dei monumenti antichi.

Oramai dopo così svariate vicende l’aspetto di Roma era completamente cambiato: una caratteristica mescolanza di fabbriche marmoree ancora in piedi, ma abbandonate e di chiese che numerosissime si erano collocate tra quelle.

E’ pervenuto sino a noi un prezioso documento, che brevemente ci descrive Roma classico-cristiana alla fine del VII secolo: è il così detto itinerario di Einsiedeln (che visitò Roma tra il 750 e l’850) dove con grande cura sono indicati i monumenti classici e cristiani (figura 12).

Sempre grazie all’Anonimo di Einsiedeln il quale vide le Terme pressoché intatte, è stato possibile ricostruire sulla sua fedele trascrizione, la targa dedicatoria delle Terme, affissa e ripetuta in vari punti di queste, oggi ricostruita nelle stesse al lato della Basilica di S.Maria degli Angeli.

Il Medio Evo non può considerarsi soverchiamente colpevole rispetto alle antichità. Infatti gli edifici crollarono piuttosto per vetustà, per abbandono, per terremoti e per gli incendi che non per negligenza o per volontà determinata degli uomini, che anzi, la povertà e l’ignoranza dei tempi rendendo o impossibile o difficile l’innalzamento di nuove fabbriche, chiese e monasteri, si annidarono tra i ruderi fatiscenti dei templi, delle basiliche, delle terme, dei teatri e si conversero in abitazioni private tutte le rovine minori.

Ora è evidente che l’uso costante di un edificio antico o per scopo religioso o per scopo di guerra o per abitazione, conduce alla conservazione dell’edificio stesso. Così avvenne nei tempi di mezzo e se abbiamo memoria di demolizioni compiute in quei tempi, abbiamo in molti casi l’evidenza della loro assoluta necessità.

Non dobbiamo dimenticare, del resto, che le rovine della città antica costituivano una minaccia, un pericolo costante per la vita e per la sicurezza degli abitanti della città medioevale, in maniera che la distruzione di talune fra esse deve essere considerata come caso di legittima difesa.

Del resto se il Medio Evo rappresentò la crisi del mondo antico, forza è che più ne risentisse l’Urbe che di questo mondo, era stata il cuore.

Ma Roma, per provvidenziale destino non si sfasciò. Questa città in cui, anche diminuita la popolazione, non fecero mai difetto gli alti sensi, né la cultura, né le capacità artistiche, appariva ancora magnifica sul cadere dell’alto Medio Evo.

Tra gli antichi ruderi delle Terme fu eretta la Chiesa di S.Ciriaco (figura 13) . “Resti di costruzione, colonne e capitelli ed iscrizioni cristiane furono ritrovati durante gli scavi, necessari per la costruzione del Ministero delle Finanze negli anni 1873-74”. L’Armellini che ne rese conto nel 1876 ritenne che fossero avanzi del titolo di S.Ciriaco.

Già qualche anno prima, nel 1869, il De Rossi ebbe occasione di parlare della scoperta di un cimitero che stava “ad un dipresso incontro a Via Pastrengo”. Questo cimitero anonimo venne attribuito dal De Rossi, pur con qualche dubbio,a S.Ciriaco che sorgeva lì vicino. Altra scoperta si fece nel 1911 eseguendo lo scavo per il collocamento della conduttura per la posta pneumatica in via XX Settembre: venne alla luce alla profondità di circa 1 metro, parte del pavimento a mosaico che il Gatti pensò potesse appartenere a S.Ciriaco o a qualche stanza annessa al monastero. Il Bufalini nella sua pianta del 1551 (figura 14) identifica una sala con due absidi laterali e con una di fronte alla porta di S.Ciriaco.

Dati i ritrovamenti archeologici e la testimonianza notevolissima sembrerebbe che sulla posizione esatta di questa Chiesa non vi dovesse essere alcun dubbio. Invece è conservata agli Uffizi una pianta delle Terme di Diocleziano attribuita ad Antonio da Sangallo il Vecchio (1455?-1534) in cui la Chiesa è posta dentro le Terme tra l’angolo nord dell’edificio centrale ed un’esedra del recinto esterno.

Bisogna tener presente che questa pianta fu fatta quando la Basilica era ancora in piedi nelle sue linee essenziali, mentre al tempo del Bufalini era quasi distrutta e facilmente poteva confondersi con altri ruderi. Un’abside si riconosce nel punto indicato sulla pianta del Du Pérac edita dal Lafréry (1577) ( figura 15) .

Questa abside è riapparsa negli scavi del 1873-74 ed è segnata nella “forma urbis romanae” del Lanciani, (foglio 10) che però pone la Chiesa in una sala ritrovata negli stessi scavi e forse la stessa veduta del Bufalini.

Se si aggiunge a queste prove la testimonianza di alcune delle fonti letterarie che mettono la Chiesa entro le Terme di Diocleziano si può ritenere che veramente la Chiesa dovette sorgere all’incirca ove ora si trova l’angolo del Palazzo delle Finanze, tra Via Pastrengo e Via Cernaia, ossia entro il recinto delle terme.

Le biografie di Adriano I, Leone III e Gregorio IV narrano della cura che quei pontefici si presero per restaurare quella vetustissima Chiesa che già nel Concilio di Simmaco del 499 figurava nel novero dei titoli presbiteriali. Il titolo cardinalizio di S.Ciriaco in Thermos appare ancora nella prima metà del secolo XVI ed è l’unico degli antichi titoli romani che non esiste più, soppresso anche nel ricordo, per il sorgere della Chiesa di S.Maria degli Angeli. Dopo le depredazioni dei barbari restarono le rovine dalle quali risorsero poi i primi palazzi baronali ed il centro abitato.

Nei secoli IX e X i palazzi imperiali erano occupati da monasteri e tutta la valle del Foro,dal Campidoglio alla Velia, erano frazionate in case e terreni messi a cultura in possesso dei monasteri e dei privati, così tutti i luoghi di Roma dove sorgessero avanzi di monumenti antichi.

Questi secoli segnarono la rovina di certa Roma antica, dovuta alle misere condizioni politiche: fazioni in contrasto tra loro per il predominio sulla città e sul papato: quindi lotte continue quindi luoghi fortificati in ogni punto di Roma.

Per salvare quanto restava di utilizzabile, si pensò fin dal secolo XI, quando ancora esisteva la chiesina di S.Ciriaco, di edificare una Certosa, si dice infatti che Urbano II avrebbe concesso con Breve del 1091 le Terme a S.Brunone e a Gavino fondatori della Certosa, dando loro giurisdizione anche sulla chiesa, ma probabilmente la concessione rimase senza effetto.

Nella prima metà del secolo XIV Francesco Tetrarca si recò più volte con pietosa reverenza ad ammirare queste reliquie della romana magnificenza, e di esse appassionatamente parlava con Giovanni Colonna, che morì di peste nel 1348.

Per una seconda volta si parlò di mettere una Certosa tra le rovine delle Terme, infatti Urbano V nel gennaio 1363, cedette quei monumentali avanzi a due fratelli di casa Orsini, Nicolò Conte di Nola e Napoleone Conte di Mompello, che devolsero in favore dell’erezione di un Convento ai Certosini nelle Terme di Diocleziano, tremila fiorini d’oro, poi morto il secondo, il primo cambiò idea, Urbano V devolse la somma in favore di S.Croce in Gerusalemme e in quel Monastero trasferì i monaci Certosini (figura 16).

Essi vi rimasero fino a quando Pio IV, eretta la Chiesa di S.Maria degli Angeli qui definitivamente li alloggiò.

Intanto devastazioni e depredazioni, iniziate già da molti anni, continuavano senza ritegno: marmi, statue, altro materiale di gran pregio venne asportato, finché non restarono che mura ed archi cadenti e disadorni (figura 17 - figura 18 - figura 19).

Il passaggio dal XIII al XIV secolo sembrava preannunciare in Roma un periodo di rinnovamento; ma quel fermento e quella fioritura che avrebbero fatto presentire così prossimo il Rinascimento, subirono, all’improvviso, un violento arresto: lo scisma di Occidente e l’esilio quasi secolare dei Papi ad Avignone, fecero precipitare Roma in uno stato di anarchia e di miseria.

La popolazione era ridotta a 17000 abitanti, impoveriti e sempre in lotta; gli acquedotti erano guasti ed inefficienti, e si beveva quasi esclusivamente l’acqua dei pozzi e del fiume; la cerchia delle mura aureliane racchiudeva enormi zone disabitate invase perfino dalla boscaglia. La popolazione era addensata nella parte bassa della città, in Campo Marzio, nel Velabro, in Trastevere. Incendi e terremoti avevano devastato monumenti e basiliche: le strade erano senza lastricato e piene di rifiuti gettati dall’uomo o lasciati dalle inondazioni del Tevere. Unica cosa invidiabile in tanto squallore fu il fatto che i monumenti antichi erano ancora ben conservati; ma già da allora cominciavano a mostrare i segni dell’opera devastatrice dei secoli e secoli di spoliazioni. Solo qualche commossa lamentela degli umanisti si levò a difendere questi gloriosissimi colossi, tanto barbaramente assaliti dai cavatori di pietre.

L’età classica, infatti aveva accumulato entro la cerchia della città così immensa copie degli edifici monumentali che forniva materiali preziosi alle opere nuove di Roma agli albori del Rinascimento; così le località che conservavano avanzi di antichità divenivano altrettante cave pietraie, dove si estraevano marmi di ogni sorta, i quali, o gettati nelle fornaci si riducevano a calce, o rilavorati dai marmorari passavano a decorare le chiese.

Gravi danni procurò il terremoto del 1348, alle antichità di Roma, che, scrive il Tetrarca non furono riparati, la tristezza dei tempi rendeva, insomma, quasi impossibile qualunque abbellimento, qualsiasi innovazione edilizia.

Gli umanisti che giungendo a Roma, credevano di trovare una città che ancora fosse degna del gran nome romano, rimanevano addolorati di fronte alla miseria che si presentava ai loro occhi.

Più che fabbricare chiese e palazzi al loro ritorno da Avignone, i papi dovettero quindi pensare a restaurare gli edifici già esistenti. Rifare tetti e pavimenti, rinforzare i muri, riattare gli acquedotti, lastricare le strade principali: questi furono i primi problemi e le prime necessità che si affacciarono alla loro mente.

Martino V ristabilisce i “Magisteri viarum” i Maestri di Strada, si hanno così i primi tentativi di un piano regolatore che sistemi meglio la rete stradale.

Il regno del suo successore Eugenio IV fu amareggiato dalla rivolta che lo costrinse ad allontanarsi da Roma per ben nove anni, dal 1434 al ’43. Bastò l’assenza del Papa perché Roma ricadesse nelle miserrime condizioni in cui l’aveva gettata l’esilio ad Avignone.

Sotto il pontificato di Nicola V, le vecchie residenze medioevali fortificate si sostituiscono con palazzi grandiosi ed eleganti ed altri se ne fabbricano di nuovi a danno dei monumenti antichi.

Un avvenimento di grande importanza del suo pontificato fu il Giubileo del 1450, che egli volle solennissimo e fu caratterizzato da una straordinaria affluenza di pellegrini. Scrive Giovanni Rucellai, giunto anche lui a Roma in quella occasione, sulle Terme di Diocleziano: “Grandissima muraglia dive ancora si vede belle colonne di marmo et graniti et architravi et son in piè molti volti”.

Il 28 aprile 1462 Pio II, tenta di porre freno alle devastazioni dei monumenti antichi con una bolla che dice così: “…ma che siano tramandati ai posteri i vecchi ed antichi edifici ornamento e massimo decoro di detta città, testimonianza delle virtù antiche, incitamento ad eguagliarle”. Per la prima volta, la ruina con autorità apostolica e certa scienza era fatta oggetto di difesa non soltanto perché decoro ed ornamento cittadino, ma sopratutto per i suoi valori culturali e spirituali. Era un atteggiamento nuovo nei confronti dell’antiquità. Parallelamente alla scoperta di tanti e tanti codici e autori antichi che proprio in quei decenni stava avvenendo con somma gioia degli umanisti, così ora un Papa umanista conferiva diritto di piena cittadinanza alla ruina quale prestigioso elemento culturale e pertanto degno di essere studiato, curato e tramandato.

Concetto, tuttavia, che non sembra venisse troppo rispettato data la disinvoltura di non pochi papi successivi, quali Paolo II e Sisto IV che data la grande attività edilizia ebbero bisogno di montagne di materiali per i cui i monumenti antichi vennero depredati senza pietà.

Alla fine del secolo XV o all’inizio del XVI, fu costruita sopra la parte orientale del lato del recinto esterno , nel quale si apriva l’ingresso principale delle antiche Terme, una casa a due piani, che, dopo aver avuto molte destinazioni e non poche trasformazioni, è ora l’attuale sede degli uffici del Museo Nazionale Romano. Dello stesso periodo deve essere una torretta che si innesta tra le convessità delle due nicchie estreme di detto lato del recinto, quasi all’angolo della moderna Via Gaeta con il Piazzale della Stazione. Sono in essa piccole finestre rettangolari con mostre in travertino, una cameretta che sembra aver servito come prigione e un’altra saletta con elegante copertura a volta.

Sotto l’impulso e la volontà dei Pontefici, la nuova società, più colta e raffinata si sostituisce nel corso del ‘400 a quella rozza e inquieta più propriamente romana.

La metà del secolo XV rappresenta per Roma una data essenziale per la sua vita civile e politica e per quella murale e monumentale che come sempre sono fra loro connesse.

Così Roma comincia dapprima lentamente e faticosamente, poi con intensità progressiva, un nuovo periodo, che è il periodo moderno, il quale forma ancora in parte sussistendo nelle espressioni edilizie, il nucleo di quello contemporaneo. Non è tanto la vecchia città che risorge, non è lo sviluppo edilizio che, secondo il fenomeno comune per tutte le città nuovamente germoglia dalle sue radici, ma è una città nuova, collegata all’antica da alcune sopravvivenze topografiche, ma più ancora da vincoli ideali, in cui si uniscono due grandi tradizioni, la romana e la pontificia.

Ecco dopo la lunga latente preparazione medioevale, che sboccia nella cultura e negli studi e diventa Rinascimento.

Il risorgere a più largo ritmo di vita della città romana, dopo il sacco del 1527, cominciò a richiamare abitatori sui Colli Vicinale ed Esquilino. Il Cardinale francese Giovanni Du Bellay, essendo ambasciatore di Francesco I re di Francia, a Paolo III acquistò un tratto di terra, presso le Terme di Diocleziano, quando divenuto Vescovo di Albano, stabilì la sua residenza in Roma, dopo essere stato creato Cardinale nell’anno 1533. Egli costruì una magnifica villa distinta con il Nome di “Horti Bellejani” (figura 21 - figura 22).

Essa possedeva una vasta estensione di terreno,che fece sistemare a giardini, nei cui viali sistemò le statue, i busti, i bassorilievi, i capitelli facenti parte del materiale marmoreo venuto in luce nelle Terme di Diocleziano nel 1500.

Di questa villa non si sa la data di acquisto, poiché non se ne è trovato mai il documento, per cui non si ha nemmeno una notizia propriamente esatta dei suoi confini e della sua ubicazione. Il portone monumentale di questa appare chiaro nelle piante del Cartaro e del Dù Pérac (figura 23), sorgeva in Piazza San Bernardo e da alcuni ne viene attribuita la costruzione a Michelangelo o più probabilmente al suo allievo Jacopo Lo Duca.

Nella stesso periodo dalla nativa Cefalù, giunge a Roma Antonio Lo Duca sacerdote, dove una grande visione gli aveva mostrato le rovine delle Terme come il luogo adatto per fondarvi il centro del culto dei Sette Angeli Principali.

Nel 1550 riuscì ad ottenere dopo molte difficoltà e ripulse, la concessione delle Terme e vi collocò subito due altari, dando inizio a qualche lavoro di adattamento e si dedicò al culto dei Sette Angeli ai quali aggiunse anche quello dei Sette Martiri e quello della Vergine, Regina degli Angeli e dei Martiri.

Ma alcuni giovani delle famiglie più illustri, tra i quali i nipoti del Papa Giulio III, contrastati da questa consacrazione religiosa che impediva loro di servirsi, come avevano costume, delle ampie rovine delle Terme per i quotidiani esercizi di equitazione scacciarono presto e con modi non cortesi,il buon prete ed i fedeli e ripresero possesso dei comodi ambienti. I sacri arredi furono ricoverati in una sala dei vicini orti e per altri dieci anni le Terme vetuste e cadenti tornarono ad essere abbandonate alla loro indegna sorte.

Da allora gli avanzi delle terme divennero rifugio di gente di malaffare. Le aule maggiori furono adibite a magazzini e fienili, le rotonde a cavallerizze o maneggio per cozzoni di cavalli, e molti altri ambienti in rovina servirono da ritrovo e nascondiglio a falsari, banditi, cortigiane. In questi luoghi, dice il De Angelis si ricordano le orge di Vanezza ed il fratricidio compiuto dal famigerato Duca Valentino.

Narra il Diaconio che il Cardinale Du Bellay morì nel febbraio dell’anno 1560, ed avendo lasciato molti debiti proporzionati alle grandi spese da lui fatte in vita, fu istituito il concorso dei creditori, per cui gli orti nella subasta restarono al cardinale di Santa Prassede, poi S.Carlo Borromeo per il prezzo di soli 8000 scudi. Non si sa se il cardinale li volesse acquistare per suo diporto o destinare all’uso di qualche opera pia, ma il fatto sta che lo zio Papa Pio IV di casa Medici, volendo che il Cardinale Borromeo gli cedesse il suo acquisto, facendo sborsare alla Camera Apostolica la suddetta somma, li ebbe in possesso.

Poco dopo del tutto fece dono ai padri Certosini con Breve speciale riducendo la grande cella calidaria (figura 24 - figura 25) delle Terme in Chiesa dedicata a Santa Maria degli Angeli, dandone incarico dell’opera a Michelangelo Buonarroti nel 1563.

Patrizia Pesci

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