S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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Storia
  di una Fabbrica … a Risparmio

Il criterio metodologico che si propone, attraverso le fasi di un restauro evolutivo durante lo studio di un’espressione architettonica, auspica ad una corretta valutazione del rapporto tra una struttura originaria e le sovrastrutture ad esso applicate, con l’analisi dei meccanismi storici e di quelli della partecipazione di più individualità con diversa cultura.

Questo come semplice premessa, ma indispensabile e al tempo stesso condizionante, per una nuova rivisitazione del concetto di arte (da un punto di vista del restauro). Arte, si badi bene, non più appannaggio di una “intelligenzia” volta a rompere quella dicotomia esistente nel suo sviluppo come espressione figurativa, che esalta la bellezza dei contenuti filosofici o didattici attraverso un coinvolgimento esteriore, e quella pragmatica, che rende l’uomo attore protagonista del proprio momento dell’esistere: questa contrapposizione di concetti ha, così, creato nei secoli, quello spirito deontologico che, forse non considerando positiva la realtà storico-culturale passata, ha contribuito allo smantellamento progressivo ed al riciclaggio di opere già colpite dal lento incedere del tempo.

Ci troviamo nella Roma della controriforma, appena dopo la metà del XVI secolo, e Papa Paolo III Alessandro Farnese (1534-11549) aveva da poco indetto il Concilio di Trento.

Il clima conciliare introdusse l’usanza di convertire al culto cattolico i templi ed i grandi edifici un tempo pagani.

Successivamente Papa Pio IV Gian Luigi De’ Medici (1559-1565), nel 1562, anno precedente alla chiusura del Concilio, accolse le preghiere del sacerdote siciliano Antonio Lo Duca, di dedicare una chiesa al culto della Madonna degli Angeli e dei Martiri, sopra le rovine delle Terme di Diocleziano. Il pontefice diede l’incarico di eseguire l’opera a Michelangelo Buonarroti (1475-1564), ormai ottantaseienne, che già stava lavorando per la curia romana, sia per la costruzione della fabbrica di San Pietro, sia per la realizzazione del tracciato della Via Pia (odierna Via XX Settembre) che avrebbe congiunto, attraversando Porta Pia (progettata da Michelangelo ed eseguita tra il 1561-64 da Jacopo Del Duca) ed immettendosi sulla Via Nomentana, il Quirinale (allora residenza del massimo esponente cattolico) con il Mausoleo di Santa Costanza. Studiando la struttura termale, Michelangelo sfruttò al meglio, con modifiche marginali, quello che i resti delle terme avrebbero potuto offrire, anche in considerazione dell’esiguo impegno economico disposto dal De’ Medici.

Le terme si presentarono a Michelangelo, suddivise nei classici ambienti termali secondo la concezione romana (tepidarium, frigidarium o natatio, calidarium, palestre e basilica o aula termale). Mentre la basilica appariva in buono stato, questo non si poteva affermare per il calidarium, il frigidarium e le palestre che sembravano sfruttabili solo per quel che riguardava il passaggio ad essi.

Erano utilizzabili anche le quattro vasche poste sui lati lunghi dell’aula termale. Inoltre anche gli ambienti quadrati che si trovano sui due lati minori della basilica, che rappresentavano i passaggi alle palestre nord-ovest e sud-est erano in discrete condizioni.

Analizzando la struttura superstite delle antiche terme, il genio michelangiolesco, concepì, per il novello tempio, una pianta centrale a forma di croce ( figura 1) : l’aula della basilica romana, costituita da un unico ambiente rettangolare suddiviso in tre zone (di cui le due laterali con copertura a crociera su pianta rettangolare e la centrale , con crociera su pianta quadrata) da otto colonne monolitiche di granito orientale, fu imbiancata e furono restaurate le colonne. Le quattro finestre poste sui lati lunghi dell’aula, tra le colonne, furono restaurate e ripartite con due semplici piastrini; furono aperti due portali, uno a nord-ovest e uno a sud-est (figg. 26-27), nelle zone di passaggio con le antiche palestre, cosicché i due ambienti sarebbero divenuti i vestiboli della chiesa. Fu inoltre ornato il portone a sud-est (figura 27) con mostre e timpano di stampo classico ed eseguita la copertura a tetto sulle parti antiche che erano state utilizzate.

Secondo il progetto del Buonarroti, le quattro vasche sarebbero dovute divenire cappelle, ma questo lavoro non fu mai portato a compimento. Sui resti della natatio, furono costruiti la piccola abside a pianta semicircolare ed il presbiterio con la volta a botte, illuminato da sei piccole finestre, tre per lato (figura 28): in quest’ultimo fu collocato un altare maggiore ligneo alle cui spalle fu posto il quadro della Madonna degli Angeli, copia di un mosaico esistente nella Basilica di San Marco a Venezia, fatto eseguire da Antonio Lo Duca, sorretto da due colonne poste ai suoi lati.

Nel passaggio al calidarium, ambiente di pianta rotonda con cupola, sulla quale Michelangelo eresse una lanterna, in asse con la crociera centrale, che era in contrapposizione con il presbiterio, l’artista aprì un piccolo portale anch’esso in gusto classico, che venne a costituire un ulteriore ingresso della Chiesa.

Poiché il Papa non aveva informato Michelangelo sulla futura gestione del tempio (clero secolare o ordine monastico), l’artista si limitò a dar vita ad un “modesto” coro in una “modesta” abside, sempre in relazione al limitato impegno economico pontificio.

In seguito la Chiesa venne assegnata ai Certosini di Santa Croce che ne possedevano la prelazione per un’antica bolla papale del 1370 dove, Urbano V Guglielmo di Grimoard (1362-1370), concedeva loro il diritto di costruire un Monastero sulle antiche Terme di Diocleziano, e anche perché Papa Urbano II Ottone di Lagery (1088-1099) nel 1091, aveva concesso a San Brunone, fondatore dell’Ordine Certosino, la Chiesa di San Ciriaco, anch’essa ubicata sulle Terme, il cui titolo cardinalizio venne poi trasferito in Santa Maria degli Angeli; il sacro edificio, così, verrà poi inserito nell’ambito dell’attiguo monastero, il cui sviluppo prenderà origine in conseguenza di tale avvenimento; in questo modo la Chiesa divenne Certosa, ma il coro del maestro fiorentino, risultò angusto per le esigenze di preghiera dei monaci; in seguito infatti verrà ampliato.

Purtroppo i lavori subiranno, a causa della morte dei suoi promotori (Antonio Lo Duca e Michelangelo nel 1564 e Papa Pio IV nel 1565), un arresto di circa dieci anni: benché la Chiesa mostrasse ormai una struttura ben definita, l’opera non avrebbe più rispecchiato i desideri dei tre iniziatori, come ad esempio la costituzione di sette cappelline da dedicare ai sette angeli.

Come affermato per anni da molti illustri studiosi, per lungo tempo si è pensato che il Michelangelo avesse inoltre rialzato il piano della Chiesa rispetto a quello delle antiche Terme. Noi ora possiamo affermare che questo non si è mai verificato e, a sostegno di questa tesi, riportiamo varie testimonianze scientifiche e storiche che qui esporremo brevemente.

Storicamente abbiamo la testimonianza del Catalani, contemporaneo di Antonio Lo Duca, che ci ha tramandato molte notizie sui lavori eseguiti in Santa Maria degli Angeli: in esse non è mai riportato l’innalzamento della quota del pavimento; un’altra testimonianza storica ci è data dalle misurazioni eseguite da Antonio Sangallo il Vecchio, che riporta l’altezza delle creste delle volte delle crociere in 51 braccia: tale misura corrisponderebbe ai nostri 29,73 metri, attuale altezza, facilmente riscontrabile con moderni mezzi di misurazione. Una delle testimonianze scientifiche ci è data dallo studio eseguito da Antonio Schiavo il 3.8.1954, e pubblicato nella nota n. 8 del “Bollettino del centro studi di Storia dell’Architettura”, ove sono riportate le misure delle otto colonne termali oggi ancora esistenti: quattro di ordine composito, quelle cioè sorreggenti la crociera quadrata centrale, e quattro dell’ordine corinzio che si trovano ai lati estremi dall’antica aula termale.

Le misure delle colonne sono: “tutto l’ordine (intero colonna e trabeazione) è alto m 17,14 sul piano del pavimento, di cui m 13,91 la colonna (base, fusto e capitello) e m 3,23 la trabeazione. La cornice di quest’ultima aggetta sul muro m 1,10 e in corrispondenza delle colonne m. 1,30: pertanto la sommità della trabeazione è praticabile come una balconata. La base delle colonne è alta m 0,67, il fusto è alto m 11,47 e il capitello è alto m 1,47. La circonferenza della colonna all’imoscapo è di m 5,10, pertanto il diametro maggiore della colonna è di m 1,62. La circonferenza appena al di sopra dell’imoscapo, cioè allo scapo è di m 4,45 cui corrisponde un diametro di m 1,41; pertanto il modulo è di m 0,705. Il lato del plinto è di m 2,02. L’attico al di sopra della trabeazione è alto m 3,63: quindi il piano su cui poggiano le finestre delle lunette è a quota m 20,79. Tenuta presente anche l’altezza di queste ultime, le creste delle volte a crociera risultano a oltre m 29 sul pavimento ed infatti Antonio da Sangallo il Vecchio indica l’altezza in 51 braccia cioè m 29,73”.

Un’ultima testimonianza scientifica, correlata anche da prova fotografica, è appannaggio della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio (già Sovrintendenza ai monumenti del Lazio), nel cui archivio fotografico, vi è una documentazione, qui allegata ( figura 29 - figura 30), eseguita durante il corso dei lavori di restauro del pavimento avvenuti fra il 1960-61. Si può chiaramente vedere come l’attuale base della colonna sia stata sovrapposta all’antica base romana mutilata delle varie vicissitudini avvenute nel tempo.

Conclusosi il pontificato di Pio V Antonio Michele Ghislieri (1566-1572), i lavori ripresero con Papa Gregorio XIII Ugo Boncompagni (1572-1585). Si trattò però solo di piccole modificazioni rispetto al primitivo progetto michelangiolesco. Nel 1574, la famiglia Cinque, eresse la cappellina del Salvatore sul lato sinistro del presbiterio e, nell’anno successivo, il banchiere Girolamo Ceuli curò l’allestimento della Cappella del Crocefisso, ubicata nel nicchione destro del vestibolo circolare. Nel 1579, su finanziamento di Consalvo Alvaro, venne edificata una cappella nel nicchione sinistro e dedicata alla Maddalena.

Come ulteriore lavoro nel 1583, venne fatto costruire dai monaci Certosini, il sepolcro del Cardinale Francesco Alciati alla sinistra della cappella del Crocifisso nel vestibolo circolare che Jacopo Del Duca eseguì, sembrerebbe, su disegno del Buonarroti: detto sepolcro è contenuto in una edicola delimitata da paraste ioniche sormontate da un timpano. Questo stesso motivo verrà ripetuto successivamente anche nelle altre tre restanti zone del vestibolo circolare. Secondo alcune stampe del Duperac (1577) , riguardanti l’esterno della Chiesa, e del Martinelli (1644), per l’interno, sembrerebbe che il presbiterio, eretto da Michelangelo, fosse già stato ampliato prima del 1583, quando vi vennero traslate le spoglie mortali di Papa Pio IV, precedentemente collocate in S.Pietro, in maniera provvisoria. Gregorio XIII, in questa occasione, stanziò la somma necessaria per la pavimentazione dell’intera abside e del presbiterio; lo stesso Papa poco prima di morire nel 1585, donò personalmente anche la somma per completare la pavimentazione, ugualmente in marmo, del resto della Chiesa (dal presbiterio alla rotonda).

Sotto il pontificato di Sisto V Felice Peretti (1585-1590), non si verificarono grandi mutamenti all’interno della fabbrica di S.Maria degli Angeli se escludiamo quello del 1585 eseguito da Pietro Avignonese, che finanziò l’allestimento della cappellina posta sulla sinistra, prima del transetto, dedicata a S.Pietro. E’ però merito di questo Papa la realizzazione dell’ampia piazza davanti all’ingresso michelangiolesco posto al lato sud-est (odierna Piazza dei Cinquecento).

Nel 1596, venne sostituito il primitivo altare di legno con uno in pietra: l’ampliamento dell’abside, la sepoltura di Pio IV, la nuova pavimentazione nonché la sostituzione del suddetto altare, avranno sicuramente contribuito alla rimozione dell’originale arco di trionfo.

La storia prosegue con piccoli e discontinui interventi realizzati da privati e dagli stessi Certosini..

Nel 1604, il Vescovo di Bitonto, Flaminio Parisi, fece realizzare la sepoltura di suo zio, Cardinal Pier Paolo Parisi, morto alcuni anni prima, alla destra della cappella della Maddalena nell’angolo opposto al monumento del Cardinal Alciati.

Alessandro Litta nel 1608 fece realizzare alla destra della zona di passaggio, tra l’antica aula e l’abside, una cappellina dedicata alla Vergine e a San Giacinto, simmetrica a quella del SS.Salvatore.

Il Monsignor polacco Bartolomeo Puvuniski, nel 1620, finanziò l’allestimento della cappelletta che si trova nella zona di passaggio tra il vestibolo rotondo e la basilica termale, dedicandola a San Brunone, detto ambiente tabernacolare è frontale è frontale e simmetrico a quello di San Pietro. Nel 1673, fu eretto il monumento funebre a Salvator Rosa nella zona del vestibolo ponentino nell’edicola di fronte a quella del Cardinal Alciati.

Nel 1700, per volere dell’allora priore dei Certosini, Mario Roccaforte, l’architetto Clemente Orlandi, venne incaricato di trasformare il vestibolo, posto sulla sinistra dell’ex aula termale, transetto della chiesa, in cappella da dedicare a San Brunone (tav. VIII, Cap. IV) su disegno di Carlo Maratta. La realizzazione di questa, che assunse subito una rilevante importanza rispetto all’altare maggiore esistente, precluse per sempre l’accesso michelangiolesco sull’odierna Via Cernaia. Dopo solo due anni, Monsignor Francesco Bianchini, studioso di astronomia, tracciò la grande meridiana sul pavimento del transetto chiamata linea Clementina, in onore del Papa Clemente XI Giovanni Francesco Albani (1700-1721) che ne aveva concessa la realizzazione (figura 42 - figura 43).

Carlo Maratta, nel 1704, progettò e fece costruire il proprio monumento funebre nell’ultima edicola rimasta libera nel vestibolo rotondo alla destra dell’ingresso. La sua morte avverrà nel 1713.

Nel 1725, il coro dei Certosini venne trasferito nella cappella dell’Epifania fino a quel momento usata come sacrestia), forse in previsione dell’imminente trasferimento delle tele petriane in Santa Maria degli Angeli o per ragioni, a noi ignote, interne dell’ordine monastico.

Nel 1727, il Papa Benedetto XIII Pierfrancesco Orsini (1724-1730) donò, alla Certosa, le prime tele, facenti parte di una collezione di dodici, che si trovavano nella Basilica Vaticana man mano che queste venivano sostituite in San Pietro da copie in mosaico. A seguito di questa donazione, i Certosini nel 1729, incaricarono nuovamente l’Orlandi di disporre queste tele iniziando dal presbiterio. Per questo motivo, infatti, furono chiuse le finestre del Buonarroti, che rimangono ancora visibili sul lato esterno del presbiterio (figura 28), e di quest’ultimo furono rinforzate le murature; per la stessa ragione furono chiusi tre di quattro vani (ex vasche termali) già destinati a cappelline nel progetto originale ma mai realizzate.

Nel 1746, venne chiuso anche l’ingresso che si affacciava sulla piazza fatta realizzare da Sisto V: il vestibolo del portale michelangiolesco divenne così una cappella in simmetria con quella di San Brunone, ma dedicata al beato Nicolò Albergati, certosino conterraneo dell’allora pontefice Benedetto XIV Prospero Lambertini (1740-1758). Il trasferimento dei quadri da San Pietro, iniziato con Benedetto XIII, proseguì anche con i suoi successori Clemente XII Lorenzo Corsini (1730-1740) e Benedetto XIV, cosicché la Chiesa di S.Maria degli Angeli assunse l’aspetto di una pinacoteca.

I Certosini, nel 1749, incaricarono l’Architetto Luigi Vanvitelli (1700-1773) di ricreare quell’unità architettonica valida, ormai perduta nel corso degli anni all’interno della fabbrica. Il progetto iniziale contemplava un ritorno ai canoni michelangioleschi: un esempio può essere il voler adibire a luogo di culto le quattro vasche termali, mai realizzate dal Buonarroti, nelle quali avrebbe voluto esporre le tele vaticane. Purtroppo questo progetto non fu mai realizzato per motivi economici, ma attendendosi ai canoni del tempo ed alle modeste disponibilità finanziarie concessegli, Vanvitelli iniziò un’opera soprattutto di restauro: chiuse l’unico vano termale rimasto aperto e poiché la Chiesa presentava una evidente varietà di stili nei suoi quattro bracci, tentò di amalgamare tra di loro le linee architettonico-strutturali esistenti con un lavoro plastico-decorativo.

Costruì infatti otto colonne in semplice muratura, identiche a quelle del transetto, per dimensioni, collocandole lungo la navata. Legò indistintamente tra di loro tutte le colonne (vecchie e nuove), per mezzo di una trabeazione, uguale a quella già esistente sulle colonne originali, che avrebbe percorso l’intero perimetro del tempio. L’artista napoletano, risolse con abili artifici le differenze di altezza delle cappelle, degli ex vestiboli, dell’aula circolare e del presbiterio con quella del transetto che risultava essere maggiore: modificò gli archi a tutto sesto della crociera centrale uniformandoli agli altri a sesto ribassato; operò nei passaggi tra il vano circolare e la crociera centrale (aula), e tra quest’ultima ed il presbiterio.

Il suo lavoro proseguì con il restauro della lanterna michelangiolesca, nonché con la decorazione (utilizzando finti cassettoni), nella cupola e nei passaggi voltati. Continuò il suo intervento interessandosi alle finestre del transetto: queste ultime avevano avuto una loro piccola evoluzione pre-vanvitelliana. Attraverso testimonianze del Catalani, infatti, sappiamo che esse, furono divise da Michelangelo con sobri piastrini; da un’incisione documentaria fatta eseguire dal Bianchini (autore della Meridiana), nei primi del ‘700, queste appaiono ugualmente ripartite da piastrini, ma più contenute nella loro luce ed arricchite da cornici curve in muratura (figura 43). Di queste modifiche non se ne conoscono epoca ed autore. Nel progetto vanvitelliano le finestre sarebbero dovute essere sostituite ma, sempre per ragioni economiche (che sembrano essere la prerogativa dominante nella vita della Chiesa), esse verranno soltanto modificate.

L’architetto apporterà le seguenti variazioni: arricchirà le due finestre della crociera centrale, in corrispondenza della navata della Chiesa con festoni ed angeli; le quattro del transetto verranno chiuse nelle due parti laterali con decorazioni, presentando così un’unica partitura a risma rettangoloide; le rimanenti due finestre di capocroce site sopra le cappelle, verranno invece tripartite (tipo serliana), con parti laterali piene e decorate. L’intervento vanvitelliano si rivolse inoltre ai tramezzi che chiudevano le ex vasche termali sulle quali erano state poste le tele vaticane: egli le divise geometricamente ed incorniciò le tele. L’ultimo intervento del maestro napoletano interessò il portone di ingresso che si affacciava sull’odierna piazza della Repubblica: egli valorizzò il portale di tipo classico sormontato da un semplice timpano, evidenziando la facciata con lesene e fasce orizzontali poco aggettanti, estendendole fino al magazzino annonario adiacente la Chiesa. In questa occasione raccordò la quota esterna della piazza con il pavimento della Chiesa, che era più basso, per mezzo di una scala interna al vestibolo che ora è visibile solamente in una pianta conservata negli archivi dell’architetto Busiri-Vici (figura 54). Possiamo affermare che il lavoro del Vanvitelli fu accolto entusiasticamente dall’allora pontefice Benedetto XIV, che ebbe modo di sottolineare l’abilità dei Certosini, che, pur avendo a disposizione modeste finanze, erano riusciti a creare una grandiosa basilica da un semplice “fienile”; lo stesso non si può però dire della maggioranza degli studiosi e critici d’arte dell’epoca e successive (a cap. appendice).

Nel primo decennio dell’800 (1812), la Certosa venne requisita dalle truppe francesi in Roma e fu usata come caserma; l’ordine superiore del chiostro venne adibito a magazzino per il foraggio degli animali. Nel 1835, i monaci Certosini decisero di riportare il coro nell’abside della Chiesa.

Malgrado i vari tentativi di urbanizzazione da parte della città, ove era presente Santa Maria degli Angeli, iniziati con Sisto V, questo tempio rimaneva sempre al di fuori della vita sociale attiva della città. Verso la metà del 1800, si pensò di realizzare un progetto urbanistico, avveniristico per quei tempi, presentato da Xavier Merode (Bruxelles, 1820-1874); infatti l’incremento demografico e la realizzazione di nuovi collegamenti ferroviari suggerivano una espansione ad est. La realizzazione di una grande strada (odierna Via Nazionale), con relative traverse, avrebbe collegato direttamente la Chiesa con il centro. La nostra fabbrica si trovò così facilmente inserita nel contesto sociale di Roma, quale quinta di una grande piazza, detta dell’Esedra, in riferimento all’antica esedra termale, definita dai due edifici realizzati dall’architetto Gaetano Koch (1849-1910), prospicienti ad essa con la loro forma semicircolare. Al centro della piazza (ora della Repubblica), fu posta una fontana progettata dal Guerrieri, alla quale furono aggiunte, come ornamento, le statue di Mario Rutelli (1859-1943).

Nel 1855, venne costruito il ciborio dell’altare maggiore e nel 1857, Pio IX Giovanni Maria Mastai-Ferretti (1846-1878), fece eseguire la pavimentazione marmorea del vano del beato Nicolò Albergati.

Arriviamo così al 1863, quando verrà posta in essere la decisione presa nel 1835, riguardo lo spostamento del coro.

Nel 1864, si ebbe la sostituzione dell’altare di legno nella cappella di San Brunone (fatta erigere dal priore Mario Roccaforte): il nuovo altare venne progettato da Luigi Fontana, architetto dello Stato. In questo stesso periodo, a causa dei fienili posti nel chiostro del convento si sprigionò un incendio che invase anche alcune parti della chiesa; una targa datata 1867, infatti, testimonia il restauro di quei danni.

L’unione dell’Italia e la conseguente soppressione degli ordini monastici, vede la chiesa officiata per qualche anno dai frati minimi di San Franceso di Paola ed in seguito dal clero secolare.

Il municipio di Roma (1870), lasciò la Chiesa in uso ai militari: il Nibby, infatti, nel suo “Itinerario di Roma” del 1878, afferma: “il chiostro del monastero annesso al sacro luogo (Santa Maria degli Angeli) eretto dal Buonarroti, serve ora a magazzino militare”.

Nel 1910, Papa Pio X Giuseppe Sarto (1903-1914) innalzò la chiesa a parrocchia e nel 1911, seguendo la tendenza del tempo, volta a valorizzare i monumenti antichi, furono intrapresi dei lavori di restauro e conservazione che però interessarono, più che altro, i resti delle Terme di Diocleziano. Così queste opere, riportarono alla luce l’antica muratura romana, posta a sostegno della facciata vanvitelliana, e proseguirono con la demolizione della lanterna michelangiolesca. Lo smantellamento della facciata del Vanvitelli fu deciso dagli organi superiori del Ministero della Pubblica Istruzione, allora preposto alla tutela del patrimonio artistico nazionale, suffragato dagli illustri studiosi del tempo nonché da delibera parlamentare. Questo riservò molte sorprese come si può apprendere dalla relazione del Professore Pubblica Antonio Munoz del 2 luglio 1911 e conservata nell’a Archivio Centrale di Stato:
“…nel corso dei lavori di sistemazione delle Terme di Diocleziano occorreva anche dare all’emiciclo absidale che serviva da facciata della Chiesa di S.Maria degli Angeli, un aspetto simile a quello dei Musei e dei ruderi circostanti. Si supponeva di trovare sotto l’intonaco l’antica cortina, e si pensava di lasciarla in vista, e di abbattere il portale esistente, togliendo anche il timpano ad esso sovrastante, perché essendo di dimensioni troppo grandi nuoceva al carattere semplice dell’emiciclo a cortina. Appena iniziato lo scrostamento dell’intonaco si verificò però che la condizione della cortina sottostante non permetteva di attuare il progetto su esposto; la cortina non era conservata che per brevissimi tratti in maniera da lasciare qua e là profonde buche, due grossi canali si aprivano lateralmente facendo anche larghe tracce sul muro; lo spigolo di destra mancava completamente. Si poteva calcolare che dell’intera superficie dell’emiciclo appena una decima parte rimanesse la cortina conservata, in piccoli tratti che rimanevano come sporgenze qua e là. Tutto l’emiciclo aveva insomma l’aspetto di un rudere informe. Apparve subito chiaro che data la località, così in vista dell’abside, non era possibile lasciarla scoperta in quel modo, ma che era necessario conciliare il rispetto degli avanzi monumentali con le esigenze dell’estetica: sullo sfondo di Via Nazionale e della Fontana di termini, non potevasi lasciare un rudere informe e crivellato di buche e di tagli. Si stabilì quindi di rifare la cortina tutto in giro, per una altezza di circa due metri creando una specie di zoccolo: di rialzare i due pilastri laterali sugli spigoli per tutta l’altezza dell’abside, di ripristinare la cortina al disopra della porta di ingresso dove essa appariva un poco conservata, e di riempire i due spazi, risultanti tra questo campo centrale e i pilastri laterali, con muro a mattoni a punta. L’antica porta con stipi ed architravi di travertino veniva conservata al suo posto, sopprimendo il timpano e abbassandola leggermente. Mentre si eseguivano questi lavori di sistemazione della porta apparvero sul centro dell’emiciclo, tracce di archi o nicchie, e si poté riconoscere che in antico si aprivano nell’abside tre arcate a tutto sesto; l’arco centrale poggiava probabilmente su colonne, i laterali impostavano sulla parete curva dell’emiciclo. Antiche stampe come quella di Alò Giovannoli (anno 1616) ci mostrano i tre archi ancora ben conservati; quello centrale andò poi distrutto quando si costruì il timpano del portale.

Si tratta insomma di un’abside archeggiata sul tipo di quelle comuni poi nell’architettura bizantina, di cui esempi principali sono:
-tempio di S.Sergio e Bacco a Costantinopoli (sec. VI), fondato da Giustiniano;
-esedre aperte del San Vitale di Ravenna (anni 526-547);
-esedre tra i piloni della cupola di S.Sofia di Costantinopoli (sec.VI);
-esedre di S.Lorenzo Maggiore di Milano (sec. VI).

Tutti questi esempi sono del VI secolo, e hanno fatto concludere che l’esedra archeggiata fosse una creazione bizantina. Ve ne era tuttavia un esempio in Italia nella tribuna archeggiata della Basilica di San Giorgio Maggiore di Napoli (anni 367-387) e un altro a quanto sembra nel coro primitivo della Basilica di San Sebastiano a Roma (anni 366-384). Da una pianta del Palladio parrebbe che anche nelle Terme di Nerone rifatte da Alessandro Severo (anno 228) vi fosse in una delle sale un’abside con tre arcate.

Parve così evidente la necessità di conservare nelle Terme di Diocleziano questo importantissimo esempio di abside archeggiata che dimostra in modo sicuro l’esistenza in Roma di motivi creduti orientali. La Soprintendenza ai Monumenti propone quindi di togliere il portale in travertino, e di ripristinare i tre archi, lasciando aperto quello centrale, e chiudendo gli altri due; di elevare i pilastri laterali dell’emiciclo, di riprendere tutto all’intorno la cortina, come uno zoccolo alto circa due metri, di rifare tutto il resto del muro in mattoni a punta. Così fu modificata la facciata della Chiesa nella quale vennero aperti due grandi e semplici portali, in sostituzione di quello del Buonarroti e, al centro di essi, venne posta una nicchia”.

Il 20 luglio del 1920, il pontefice Benedetto XV Giacomo Della Chiesa (1914-1922), innalzava a Basilica minore il complesso di S.Maria degli Angeli; nello stesso anno nel braccio destro del transetto fu eretto il Monumento funebre al Maresciallo d’Italia Armando Diaz, Duca della vittoria su progetto dello stesso Prof. Antonio Munoz.

Nel 1948, fu costruito dallo scultore Pietro Canonica (1869-1962) il monumento funebre dell’Ammiraglio Thaon di Revel, Duca del Mare, nella cappella del Beato Albergati, lo stesso artista nel 1953 realizzò anche quello del Senatore Vittorio Emanuele Orlando frontalmente al precedente.

Nel 1972 l’allora Sovrintendenza ai Monumenti del Lazio, ora ai Beni Ambientali ed Architettonici, ha restaurato le vetrate artistiche dell’abside e delle altre finestre; successivamente ha sostituito il pavimento in marmittoni del vestibolo circolare con uno in marmo a disegni, sistemato le cappelle ivi contenute eliminando le loro cancellate divisorie che ne chiudevano la libera visuale, ripristinandone il volume originario.

I lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, anche se con molta parsimonia si sono succeduti negli anni successivi ed hanno interessato soprattutto le coperture piane ed a tetto dell’intero complesso. All’interno del vestibolo circolare sono state consolidate le cornici del lato sinistro, restaurati i due grandi portali ed i monumenti funebri marmorei del Cardinale Pier Paolo Parisi e di Salvator Rosa. Questo capitolo relativo al complesso monumentale della chiesa di S.Maria degli Angeli, ha avuto il compito di elencare cronologicamente l’evoluzione, nel corso dei secoli, di questa Chiesa limitandosi nei commenti e rimandando le critiche e testi più specifici. Ci siamo proposti, così, di riportare i soli elementi che hanno costituito l’iter di quella fabbrica che oggi noi possiamo ammirare. Probabilmente la controriforma con il suo spirito di rielaborazione dei grandi esempi architettonici del passato anche se per certi versi un poco ingenui o strumentali, ci dà la chiave per delineare un sistema di recupero intelligente dei beni architettonici che si spinga nella riconsiderazione degli stessi, interpretandoli con una mentalità moderna nel rispetto degli antichi desideri degli artisti originari.

I tentativi per cambiare volto

Il restauro della fabbrica di S. Maria degli Angeli, parliamo del grande lotto di lavori dell’arch. Luigi Vanvitelli, interessò sia l’interno che l’esterno: se per il primo, criticabile quanto si vuole, non vi furono grosse diatribe a riguardo, ciò non si poteva dire per la facciata vanvitelliana. Già Giovanni Bottari nel 1754 dichiarò quei lavori “una mostruosità”; il Titi nove anni dopo li descrive come “una rovina”; lo Stendhal nel 1830 li chiamò “pitoyable” (penosi); il Nibby nel 1839 “un peggioramento del monumento con dispiacere universale e danno delle arti”; Amico Ricci, storico di architettura, nel 1858 “uno sconcio”.

Così sembra che si cominciasse presto a pensare di cambiare nuovamente l’aspetto esteriore dell’insigne monumento.

Vediamo qui di seguito alcune soluzioni, firmate e no, che furone eseguite da vari artisti tra il 1800 e i primi anni del 1900. da B.I.A.S.A. carte Lanciani (figura 63) studio di anonimo risalente al 1800.

Da Vir iustus della Sagra Famiglia di Gesù Cristo Patrono della Chiesa Cattolica-Roma 1875 (figura 65), lo studio proposto dall’arch. Andrea Busiri Vici (1818-1911) nel 1875.

Dall’A.C.S.MIN.P.I. Direz. Generale AA.BB.AA. busta 234, II vers., I serie, lo studio per la sistemazione dell’intero complesso termale a museo nazionale romano progettato nel 1882 dagli architetti Pietro e Salvatore Rosa (fig. 64) nel quale compresero anche la facciata della Chiesa.

Nel 1902 venne presentata una soluzione di facciata anche dall’arch. Luigi Sacconi (1854-1905) che fu approvata nel 1904 dalla Giunta Superiore delle Antichità e Belle Arti (fig. 66, da Fabbriche Morelli- Roma umbertina in “Arte a Roma dalla Capitale all’età umbertina- Roma 1980, Bibl. Hertiana).

Non fu possibile, tuttavia, pensare alla sua realizzazione sia per la solita ragione ricorrente, immediata mancanza di disponibilità finanziarie, sia perché il Parlamento italiano aveva votato la demolizione di tutte le appendici e soprastrutture addossate alle antiche Terme romane per ottenere la loro riqualificazione. Il prof. Corrado Ricci, in una sua interpellanza del 10.3.1908 ai Ministri di Grazia e Giustizia e della Pubblica Istruzione, nella quale sottolineava che il progetto del Sacconi non rispettava il voto espresso dal Parlamento italiano, darà il colpo di grazia a questa proposta.

Come ultimo studio in ordine di tempo (1908) (figura 67 - figura 68) dall’A.C.S. del Ministero della Pubblica Istruzione Div. Gen. AA.BB.AA. busta 539 il progetto, sempre afferente alla Chiesa di S.Maria degli Angeli, proposto dall’arch. Giuseppe Ribaldi riprodotto in piante e prospetto.

Comunque, la fine delle nostre storie sul volto della Chiesa comincia qui: se avessimo voluto fantasticare ancora lo avremmo fatto ma data la situazione parlamentare dell’epoca ed i voleri del Ministero della Pubblica Istruzione, la facciata tornerà nella splendida semplicità romana, esaltando ancora di più le nostre origini storiche e custodendo sobriamente i tesori racchiusi nel cuore del tempio.

Luciana Gaudenzi

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