S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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Foto Fabio Gallo

Domenico Zampieri detto Domenichino, discepolo dei fratelli Carracci e seguace del loro classicismo si trasferì a Roma al seguito di Annibale, con il quale lavorò nel Palazzo Farnese ed eseguì, in questa città, numerosi ed importanti affreschi. S. Gregorio al Celio: Flagellazione di S. Andrea 1608. S. Luigi dei Francesi: Storie di S. Cecilia 1611-1614. S. Andrea della Valle: Storie di S. Andrea. Abbazia di Grottaferrata: Storie di S. Nilo.

I risultati più alti della sua pittura si ritrovano nelle tele nelle quali domina il paesaggio.
Sul lato destro del presbiterio della Basilica di S. Maria degli Angeli si trova il “Martirio di S. Sebastiano”, con accanto la “presentazione al Tempio” di Giovanni Framcesco Romanelli e di fronte il “Battesimo di Gesù” di Carlo Maratta.

Dobbiamo ricordare che a partire dal 1727 furono trasferite a S. Maria degli Angeli, sotto i pontificati di Benedetto XIII, Pier Francesco Orsini (1724-1730) e Clemente XII, Lorenzo Corsini (1730-1740), le 12 grandi pale d’altare che attual.mente si trovano, quattro nel presbiterio e otto nella navata trasversale, allorché quei papi decisero di sostituirli, nel nuovo S. Pietro, con copie in mosaico corrispondenti alla grandezza dei nuovi altari in S. Pietro e per salvare i quadri dai guasti dell’umidità. Il trasferimento fu completato sotto il pontificato di Benedetto XIV, Prospero Lambertini (1740-1758), come ricorda l’iscrizione che si legge in alto, sulla parete d’ingresso della basilica, lato interno, che così recita:

BENEDICTO XIV PONT. MAX.
QUOD IN VATICANA BASILICA COLLOCATIS
E VERMICULATO EMBLEMATE STRUCTIS ALIQUOT TABULIS
EGREGIAS PICTURAS INDE AMOTAS HUC TRANSFERRI IUSSERIT
CARTHUSIANOS AD NOBILISSIMAM AEDEM EXORNANDAM
TANTO MUNERE IMPVLERIT CARTH. ORDO.

E’ questo un affresco che il Domenichino (Bologna 1581-Napoli 1641), eseguì per l’altare del Santo nella Basilica Vaticana e che il restauratore Nicola Zagaglia, con un procedimento tecnico per allora molto ardito, staccandolo segando il muro, riuscì a trasportare a S. Maria degli Angeli, dopo che ne fu fatta una copia in mosaico ora nella seconda cappella della navata destra a S. Pietro.

Si tratta di un dipinto ad olio su muro, alto m. 9,30 e largo 4,20, ordinato al Domenichino nella ricorrenza del Giubileo del 1625, eseguito in un arco di tempo compreso tra il 1625 e il 1631, anno in cui Domenichino lasciò Roma per Napoli.

Per accogliere questa grandissima pala a S. Maria degli Angeli, insieme ad altre tre, altrettanto imponenti, l’architetto Clemente Orlandi, preposto alla direzione dei lavori di ristrutturazione della chiesa prima di Luigi Vanvitelli, modificò il sistema decorativo del presbiterio chiudendo le finestre michelangiolesche, ancora visibili all’esterno, ed aprendone delle nuove, alterando l’intero sistema di illuminazione; dovette poi procurarsi, con il tamponamento di tre degli arconi all’incrocio dei bracci del transetto, superfici murarie sufficientemente vaste per disporvi altri otto dipinti di misura affatto comune.

Secondo le ultime ricerche, l’alterazione del progetto michelangiolesco, fu dovuto, in gran parte, non tanto al Vanvitelli che intervenne in un momento successivo, quanto a Clemente Orlandi.

Ricorda l’erudito collezionista, critico d’arte, pittore, poeta, Giovanni Battista Bellori (Roma 1615-1696) che il “Martirio di S. Sebastiano” è un dipinto di grande respiro in cui la composizione “affollata” è concepita in senso rotatorio con al centro la figura di S. Sebastiano legato al tronco, in una posa esemplificata dall’iconografia del Lacoonte.

Esso raffigura, in un insieme drammatico e movimentato, il martirio di S. Sebastiano ad opera di Diocleziano da cui il santo si salvò una prima volta per l’intervento divino. La storia narra infatti che San Sebastiano, creduto morto, fu invece raccolto e guarito da Sant’Irene. Successivamente morì per flagellazione per i rimproveri che egli mosse nei confronti dell’imperatore, a motivo della violenta persecuzione dei cristiani. Il suo corpo fu in seguito sepolto nelle catacombe che portano il suo nome, sull’Appia Antica, dalla vedova cristiana Lucina. Qui si evidenzia il momento dell’accoglimento da parte di Cristo del santo circondato dalla folla che viene allontanata da un centurione a cavallo. Si nota un angelo che scende con la palma e la corona, simbolo del martirio.

E Guglielmo Matthiae nota invece che:

“..la composizione si snoda agile e ben connessa in modo che il gesto largo ed un poco magniloquente del Santo si lega agli atteggiamenti vari e sciolti degli arcieri e del cavaliere sul lato destro del quadro. Il sapiente gioco dei contrapposti compositivi si risolve però in un largo ritmo decorativo, ma non sfiora neppure accenti drammatici che erano estranei alla natura dolce e intima del pittore. Con la scioltezza compositiva senza drammaticità e con il vagheggiamento delle forme idealizzate si accorda la cromia limpida e brillante e la chiarità della luce che investe allo stesso modo i caldi impasti delle carni, gli elementi architettonici e il verde intenso del fogliame delle notazioni paesistiche”.

Lo stato di conservazione del dipinto, realizzato con la tecnica ad olio su muro, ha comportato operazioni delicate e complesse nel corso del restauro effettuato negli anni ‘90. E’ stato necessario risanare i difetti di adesione tra intonaco e supporto murario, provvedere alla riadesione dei sollevamenti della pellicola pittorica e degli strati preparatori. Rimuovere le vernici ossidate e lo spesso strato di polvere grassa che impediva una corretta lettura del testo, rimuovere vecchie stuccature sbordanti nella pittura recuperando successivamente, in vari punti, l’originale nascosto, stuccare le lacune e reintegrarle prima della verniciatura protettiva finale.

L’intervento è stato condotto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, grazie al sostegno finanziario della fondazione della Banca Nazionale delle Comunicazioni, su premure del Rettore della Basilica Mons. Renzo Giuliano. I lavori sono stati diretti da Maria Pia D’Orazio ed eseguiti dalle restauratrici Gabriella Gaggi e Silvana Franchini.

La cerimonia inaugurale del restauro di quest’opera, insieme alle altre tre sistemate nel presbiterio,ha avuto luogo sabato 19 dicembre 1998, alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Giovanna Melandri.

 
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