S. Maria degli Angeli e dei Martiri
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Tavola LXXIV

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Tavola LXXIV

Antonio Dosio: L'entrata della villa del card. Jean du Bellay con il muro di chiusura dell'esedra che recingeva anche il torrione d'angolo, (oggi S. Bernardo); a destra una grossa colonna sezionata in quattro (dis.).

L'odierna via delle Terme, che corre dall'angolo di via del Viminale a S. Bernardo, attraversando la riaperta esedra, come sulla stessa linea di quella antica, che separava nettamente la villa del du Bellay dal corpo centrale delle Terme.

(Firenze, Uffizi)

Da Caterina Bernardi Salvetti, Estratto da Studi Romani Anno XVIII n. 4 Ottobre - Dicembre 1970

Gli scavi in corso nell’aula rotonda delle terme (ingresso di S.Maria degli Angeli) fanno guardare con rinnovato interesse ad alcuni disegni del sottosuolo e dei dispositivi per la distribuzione di calore eseguiti da un anonimo architetto francese nella prima metà del sec. XVI in Roma, oggi esistenti nella Biblioteca d’Arte del Museo dello Stato di Berlino. Sono 13 disegni già facenti parte dei tre volumi della raccolta Destailleur di Parigi, dei quali già il Lanciani, nella sua Storia degli Scavi, parlò fuggevolmente ai suoi tempi e che oggi meritano un più attento esame da parte degli studiosi.

Gli schizzi sono databili ad un’epoca anteriore ai lavori di Michelangelo (1561), quando la sala centrale delle terme e gli ambienti del “frigidarium” all’esedra furono destinati a divenire la “chiesa delle Therme”, S. Maria degli Angeli. Infatti, in questi disegni non si nota alcun particolare di trasformazione e il pavimento e gli ambienti sotterranei illustrati fanno pensare che facilmente si potesse accedere nel sottosuolo attraverso gallerie e passaggi effettuati a quei tempi spesso con regolari permessi di scavi.

I più interessanti di questi disegni sono appunto quelli che illustrano gli ambienti delle terme in vicinanza dell’esedra e specie l’aula rotonda, attuale zona di ricerche, che una annotazione definisce “bagno tondo” (vedi disegno n. 4151/41, tav. LXVII di cui parlo più avanti), dove sono messi in luce gli ambienti sotterranei e i dispositivi per la distribuzione del calore in essi accolti: piastrini, canali di conduzione, particolare dei piastrini e delle altre parti architettoniche, con le relative misure, che sarebbe opportuno confrontare con i recenti reperti (basi dei piastrini, ecc.) venuti in luce. Più volte fu scavato “nel mezzo della piazza trovando gran volte, archi e segni di fuoco e fumo” ( Francesco Eschinardi, Descrizione di Roma e dell’agro romano, Roma 1750, p. 130) .

Nei disegni dell’Anonimo di Berlino troviamo però una visione anteriore a queste esplorazioni; e cioè lo stato del sottosuolo delle terme nel XVI sec.: passaggi e cunicoli al di sotto del livello degli ipocausti (vedi disegno n. 4151/52, tav. LXXI) e spesso anche porte, con la chiara scritta esplicativa: “porta cha va sotto la stufa” (disegno n. 4151/46, tav. LXVIII), mentre sembra pure collimare perfettamente col disegno 4151/50, tav. LXIX e 50v la disposizione a raggio irregolare delle basi dei piastrini che sono apparsi al di sotto della terra di riempitura e detriti con cui all’epoca di Michelangelo è stato sistemato il pavimento dell’aula rotonda, pavimento che fu poi lastricato di marmi solo nel 1572 per merito di Gregorio XIII.

Una particolarità degna di nota nei disegni dell’Anonimo di Berlino, già Destailleur, è che l’aula rotonda è chiamata spesso “bagno tondo” (disegno n. 4151/41, tav. LXVII) e il pavimento della stessa: “piano del bagno” (disegno n. 4151/46v, tav. LXVIII). Denominazione analoga troviamo nella relazione di conti dei lavori all’epoca di Michelangelo: “Tomaso da Induno compiè lo scavo dell’ aula balneare destinata a sacrestia piccola de la chiesa” (Cfr. Rodolfo Lanciani, Storia degli Scavi, 1542-1595, vol. II, voce: “Terme di Diocleziano”, p. 135 e pass., Loescher, Roma 1902.). E il Catalani, nella sua Historia manoscritta della chiesa (Matteo Catalani, Historia della chiesa di S. Maria degli Angeli cauata dagli scritti di Antonio Duca di Cefalù sacerdote siciliano, Ms. Vat. Lat. 8735, fol. 54v.) , precisa (scriveva nel 1611): “là dove ora sono le cappelle l’una di Ceuli l’altra di Alvari”.

Probabilmente questa “sacrestia piccola” non fu mai compiuta, per la semplice ragione che dopo la morte di Michelangelo i lavori cessarono (1564) per riprendere solo nel 1572, in cui fu fatto il pavimento in marmo fino all’altar maggiore. Tre anni dopo, nel 1575, il ricco banchiere pisano (amico di s. Filippo Neri) acquistava il nicchione rettangolare a destra entrando nell’aula rotonda; l’altro nicchione a sinistra veniva acquistato nel 1579 da Consalvo Alvaro e furono rispettivamente le cappelle dette “del Crocifisso” e “della Maddalena”. Certamente i monaci Certosini avevano trovato più comoda e funzionale la sacrestia grande più prossima al convento e avevano preferito cedere al Ceuli e all’Alvaro quelle che furono nella storia della costruzione, la seconda e la terza cappella (la prima fu quella dei Sette Angeli che adorano il S. Bambino a destra dell’altar maggiore, acquistata da Matteo Catalani nel 1572).

Nel progetto di Michelangelo erano concepiti tre ingressi: due alle estremità della sala traversa, oggi chiusi dagli altari dedicati a s. Brunone e al beato Albergati e il terzo, più piccolo, ma più frequentato, dall’aula rotonda prospiciente l’esedra, nella cui area, nel 1554, il cardinale francese du Bellay, ricercatore ed esportatore di antiche statue e di ogni sorta di reperti archeologici, aveva fatto costruire una sua villa, i cui giardini estendendosi fino al Viminale, erano noti come gli “Horti Bellayani”.

All’Archivio di Stato di Roma esiste un elenco di ben 134 pezzi, tra statue, busti, teste e altri frammenti, di proprietà del cardinale francese e Jean Jacques Boissard, in Antiquitatum Romanarum (Jean Jacques Boissard, Antiquitatum Romanarum, t. II, Th. De Bry, Francofurti 1598.) illustra tre gruppi scultorei, ai nn. 121, 122 e 123, provenienti dalle terme di Diocleziano.

L’entrata principale della villa del card. Jean du Bellay veniva a trovarsi all’incirca dove ora trovasi la fontana delle Najadi, villa, come diceva la targa dedicatoria, eretta “per sé e per i suoi amici”. Mecenate di artisti e poeti, qui teneva gran corte e forse ancor prima di Pio IV sognò “une fatale main ressusciter ces poudereuses ruines” (Cfr. Joachim Du Bellay, Le premier livre des antiquitez de Rome, Paris 1558.) . Ma il cardinale aveva pensato anzitutto a spedire in Francia una gran quantità di preziosi marmi antichi da lui raccolti. Generalmente l’imbarco avveniva a Civitavecchia e uno di questi navigli diretti a Marsiglia fu assalito dai Turchi presso Piombino, “le patron fait prisonnier, la barque rompue, le precieux fardeau fut precipitè au fond de la mer” (In: Arthur Heulard, Rabelais en Italie, Paris 1891, p. 319, n. 2.) .

Il cardinal du Bellay, ammalatosi durante il conclave in cui venne eletto Pio IV Medici, veniva a morire agli inizi del 1560, la sua villa fu presa in affitto da s. Carlo Borromeo, nipote di Pio IV, il pontefice che nell’anno successivo (1561) dava inizio ai lavori di trasformazione in chiesa della parte centrale delle terme, conferendone l’incarico a Michelangelo. La villa du Bellay col territorio annesso, compreso il torrione rotondo, oggi S. Bernardo, venne a far parte del territorio della chiesa di S. Maria degli Angeli, il cui card. titolare fu Giovanni Antonio Serbelloni, che ancora nel 1589 operava altri scavi presso il viridarium e l’emiciclo (Lanciani, Storia degli Scavi, già cit., vol II, p. 147.) .

E’ presumibile che l’anonimo architetto, autore dei disegni di cui ci occupiamo, abbia frequentato o fatto parte della corte del cardinale francese, date le annotazioni sugli stessi disegni redatte in francese e in cattivo italiano, e che alla morte del du Bellay (1560), un anno prima dei lavori di trasformazione iniziati da Michelangelo (1561), abbia ripreso la via di Francia e precisamente di Parigi.

Qui nel Cabinet des Etampes a Parigi esisterebbe un’altra serie di disegni pubblicata nel 1558 ad Anversa da Hieronimo Cock, inclusa nei disegni d’un architetto spagnolo: Sebastianus ab. Oya; ed ancora a Parigi un altro esemplare rilegato, montato su un rotolo di tela lungo 30-40 metri. Così secondo Henry De Geymuller (Nel suo studio su: Documents…sur les thermes…de Diocletien, Losanne-Rome 1883.), il quale riferisce pure ( Ibidem, p. 40.) di una colonna, che in alcuni di questi disegni appare spezzata e che forse si elevava al centro dell’esedra, e che su uno di questi disegni è scritto: “Una colonna qui / grossa braccia due, oncie 18 e mezzo”. Così anche segnala ”tre volumi di disegni” rilevati presso le terme di Diocleziano ( quelli oggi nel Museo di Berlino). Nel 1835 questi disegni erano compresi nella raccolta dell’architetto Callet padre, il quale li aveva fatti rilegare e successivamente li aveva numerati. Poi passarono all’architetto Destailleur di Parigi, la cui raccolta, verso la fine del secolo scorso, fu acquistata dal Reale Gabinetto delle Stampe di Berlino e oggi sono nella Biblioteca del Museo di Stato di quella città (Cfr. in: Aus der Anomia, Archaologische Beitrage, Carl Robert zur Erinnerung an Berlin dargebracht, Berlin 1890; P. Jessen, Zeichnungen romischer Ruinen in der Bibliothek des Kgl. Kunstgewerbe-Museums zu Berlin, pp. 119-121.) .

Dei disegni delle terme di Diocleziano esistenti in Italia è nota la serie di G. A. Dosio (tavv. LXXIII-LXXIV) esistente in Firenze alla Galleria degli Uffizi, serie che va dal n. 2545 al n. 2549; anche questi disegni furono eseguiti circa la metà del sec. XVI, prima dei lavori di Michelangelo; in uno di questi si nota il pavimento con alcuni frammenti di quello antico (Cfr. fig. 16 in: Caterina Bernardi Salvetti, S. Maria degli Angeli alle Terme, Desclèe, Roma 1965.) . Pure nella Galleria degli Uffizi sono le piante topografiche e i primi progetti di trasformazione in chiesa delle terme di Diocleziano dovuti al Bramante (1515) e quelli dovuti al Sangallo e al Peruzzi; progetti peraltro rimasti tali, dovendo solo Michelangelo nel 1561, per incarico di Pio IV, attuare tale trasformazione; ultima fatica del grande architetto in cui ebbe la cooperazione del suo allievo Jacopo Lo Duca siciliano ( a Roma fu chiamato “del” Duca), nepote del suo amico e fondatore della stessa chiesa don Antonio Lo Duca.

I disegni dell’Anonimo della raccolta Destailleur, oggi in Berlino in numero di 13, comprendono anche motivi architettonici e ornamentali delle nicchie della grande parete che si specchiava nella grande piscina ad acqua fredda (“frigidarium” scoperto) in parte riprodotti dal Canina ( Luigi Canina, Gli edifizi di Roma Antica, vol. IV, tavv. CCVI, CCVIII, CCXVII e pass. Bertinelli, Roma 1851.) : timpani, capitelli, basi di colonne, ecc.; noi passeremo qui a descrivere quei disegni che nell’interpretazione dell’Anonimo suddetto riguardano la parte delle terme prospiciente l’esedra e il presumibile “praefurnium” che ancora nel sec. XVII “occupava circa metà dell’attuale piazza” (Salvatore Aurigemma, Le Terme di Diocleziano e il Museo Naz. Romano, Libr. Dello Stato, Roma 1954.) .

Disegno n. 4151/41 (tav. LXVII).

Vi appaiono le scritte:

“L’altezza del bagno tondo è quella dal basso al summo grande della salla, li quale sono segnate S. T.”.

“Il piano della sala majore”.

Sezione per lungo tra piazza Esedra e via Volturno: si nota a sinistra la parte architettonica sporgente su piazza Esedra (“calidarium”? “praefurnium”?) (Guglielmo De Angelis D’Ossat, Tecnica costruttiva e impianti delle Terme, Mostra della civiltà romana, Colombo, Roma 1943, pp. 43 e 44.) , oggi scomparsa e di cui rimane la parete absidata in cui si apre l’ingresso di S. Maria degli Angeli. Più in alto e imponente della stessa parete superstite, il monumentale edificio ha su tre lati portici semicircolari: quello al centro, che fa da riscontro alla parete absidata oggi superstite, con la sua forma semicircolare, ha la sua stessa altezza e presenta quattro colonne; mentre i portici semicircolari laterali sono più bassi (Presso l’entrata di S. Maria degli Angeli, a lato dell’attuale Facoltà di Magistero, appare tuttoggi una parte della parete curvilinea facente parte di uno dei portici laterali che fa guardare con più attenzione la ricostruzione ideale di Friedrich L. Dunbar, in Rom, Berlin 1943, fig. 122 (tav. LXXII)). L’ambiente centrale rettangolare ha la volta altissima sorretta agli angoli da grosse colonne, che appaiono identiche a quelle tuttora esistenti nella navata traversa della chiesa, con le stesse basi e ornamenti; anche la grande finestra, che si apre nell’altissima parete, sembra avere la stessa ampiezza di quelle della nave traversa.

Nel sottosuolo di questo edificio (che si inoltrava fino alla metà dell’odierna piazza Esedra) si notano i caratteristici pilastrini determinanti gli ipocausti; ancora al di sotto di questi, tre piccole porte o aperture di cunicoli; alla estrema sinistra del disegno, sempre nel sottosuolo, si nota una forma (cilindrica?) la cui volta con una piccola apertura raggiunge con la sua sommità il livello del pavimento un poco oltre l’estremo limite del complesso edilizio sopra descritto. Proseguendo verso destra nella visione del disegno, ecco, oltre la parete absidata, l’aula rotonda con due aperture nel punto in cui oggi sono i sepolcri Salvator Rosa – Pier Paolo Parisi; al di sotto dell’ odierno sepolcro Salvator Rosa, nel sottosuolo, l’apertura venuta in luce nei recenti scavi.

Nel passaggio verso l’odierno transetto, è una porticina sormontata da una apertura, poi trasformata in nicchia, oggi vuota, alla stessa altezza di quella di fronte che ora accoglie la statua di s. Brunone.

Procedendo verso la grande sala, si nota l’ambiente oggi occupato dalla cappella di s. Pietro, quindi il braccio sinistro della crociera in cui sono visibili due delle grandi colonne che tuttora ornano in numero di otto la grande sala; due colonne di minore altezza si stagliano al centro dell’entrata da via Cernaia (chiusa dall’ altare di s. Brunone); proseguendo verso destra, segue l’ambiente dove oggi è la cappella dei Sette Angeli che adorano il S. Bambino, detta del Salvatore. In ultimo lo scorcio della grande parete monumentale sulla piscina (“frigidarium” scoperto) a lato del presbiterio, quindi i portici laterali del “frigidarium” e l’ingresso dal lato dell’odierna via Volturno.

Disegno n. 4151/46 (tav. LXVIII).

Scritte:

“Piano della salle major”.

“Logo scoperto dove si andavano via lacque ne li chiauica”.

“Porta che va sotto le stufe”.

A sinistra la sala rotonda. Il piano verso l’esterno è leggermente inclinato.

Disegno n. 4151/50 (tavv. LXIX-LXX).

Scritta:

“Stufa de li Termini Diocletiane”.

Si notano un emiciclo con prolungamento rettangolare verso l’esedra e l’insieme dei pilastrini quadrangolari disposti a scacchiera nel lato curvo a raggio irregolare che sembrano identificarsi con metà del pavimento dell’aula rotonda venuta in luce.

Un canale va da una parte all’altra degli ambienti laterali (cappelle della Maddalena e del Crocefisso) al centro collegato con un altro canale che si dirige verso l’esedra (La disposizione dei muretti conduttori di calore presenta analogie con quella dei canali di riscaldamento delle “terme Est a Timgad”, di cui parla il De Angelis d’Ossat, op. cit., p. 44: “muretti subito dopo il ‘praefurnium’ che graduano opportunamente il passaggio del calore con la zona adiacente punteggiata da ‘suspensurae’”.) .

Nel lato “verso” del foglio sono disegnati la direzione e lo sbocco del calore tra i pilastrini, la cui base quadrangolare sembra identica a quella delle basi ritrovate. A lato del foglio è disegnato un pilastrino modello con le misure: p. 2,06 (1 piede romano = a 30 cm. circa) con la scritta: “altezza de li pilastrelli”.

Disegno n. 4151/52 (tav. LXXI).

Scritta:

“C’est le lieu ou magnere comme il chaufaist les bains”.

In alto a sinistra, uno schizzo con le basi quadrangolari dei pilastrini in un’area rettangolare più stretta al centro; a destra, canali contrassegnati da lettere: E e D che indicano due aperture a volta acuta vicine a una terza contrassegnata A; tutte e tre le aperture sono al di sotto del pavimento a “suspensurae”.

Sarà interessante constatare fino a che punto i disegni dell’ignoto architetto francese siano confermati dai recenti scavi, o quale contributo potrebbero dare per ulteriori ricerche, in particolare del “praefurnium”, che l’Eschinardi (v. nota 1) e l’Aurigemma (v. nota 13) pongono al di fuori del presente ingresso di S. Maria degli Angeli.

 
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