Il Quadro
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Il sogno di Antonio Lo Duca. 

La tavola, che costituisce il grande perchè in forza del quale è stata edificata la basilica di S.Maria degli Angeli e dei Martiri in Roma, ancor oggi con la sua storia racconta la singolare vita di fede del pio sacerdote di Cefalù Antonio Lo Duca. Questa storia, che ha il suo inizio in Palermo, la sua continuazione a Roma con la costruzione della Basilica michelangiolesca, riutilizzando i resti delle Terme di Diocleziano, sembra coinvolgere l'Italia intera con il suo messaggio mariano e angelico. Ciò che sorprende in Antonio Lo Duca è la tenacia con la quale egli vive la sua missione di sacerdote nella fedeltà a diffondere la devozione ai sette Angeli o, meglio, ai sette Arcangeli. 

Tutto ha inizio nel 1516 allorchè egli, sacerdote novello, appena venticinquenne, dopo aver compiuto gli studi a Roma, dove aveva conosciuto Mons. Giovanni Belloruso, fu chiamato, al suo rientro nella città natale, dallo stesso Monsignore, appena nominato Vicario generale della Diocesi di Palermo, con l'incarico di insegnare musica e canto corale ai chierici dell'Arcidiocesi. La sede delle prove di canto fu una chiesetta "antichissima", da anni chiusa al culto e diventata locale di sgombero di arredi sacri in disuso. La chiesa, dietro l’abside della Cattedrale, ancora oggi Piazzetta degli Angeli, fu poi distrutta nell’ultima guerra. 

Nel corso di una lezione di canto liturgico Mons. Belloruso, con altri Canonici presenti, notò affiorarare sotto la polvere delle pareti alcune immagini che erano "historie degli Angeli in tre ordini di figure nel muro a destra dell'altare maggiore". Nel primo di questi tre ordini (come scrivera Antonio in una lettera alla Duchessa di Parma Margherita d'Austria) era rappresentata la creazione degli Angeli; nel secondo ordine S. Michele e l’Angelo posto a guardia del paradiso terrestre con i tre angeli apparsi ad Abramo; nel terzo le immagini di sette Angeli ciascuno con la sua caratterizzazione sottoscritta: 

1.Michele, nel mezzo del gruppo, in corazza d'oro a lancia con bandiera. 
Motto: "victoriosus"

2.Raffaele, alla destra di Michele, che conduce Tobia con la mano destra e regge nella mano sinistra una teca con aromi medicinali. 
Motto: 'medicus;

3.Jeudiele, accanto a Raffaele, con corona e flagello nelle mani. 
Motto: "remunerator"

4.Sealtiele, presso Jeudiele, in atto di preghiera. 
Motto: "orator";

5.Gabriele, alla sinistra di Michele, con nelle mani la fiaccola e lo specchio di diaspro. 
Motto: "nuncius";

6.Gli è appresso Barachiele con un serto di rose fra le inani. 
Motto: "adjutor";

7.Da ultimo Uriele con la spada fiammeggiante. 
Motto: "fortis socius".

Doveva trattarsi con ogni probabilità di una figurazione ad affresco tardo medioevale di scuola sicula, colIegata all'iconografia bizantina. La notizia della scoperta del dipinto suscitò in Palermo un forte interesse devozionale, al punto che si costituì la confraternita dei "Sette Angeli" detta anche Imperiale, perchè primo iscritto fu Carlo V, allora giovane Re di Sicilia e, piu tardi, Imperatore. 

L'anno seguente (il 1517) Antonio decise di recarsi a Roma per verificare se nel centro della cristianità esistesse qualche chiesa o cappella dedicata a questi Angeli. Vi giunse poco prima del sacco di Roma e fortunatamente trovò riparo, come cappellano del Cardinale Dal Monte, della Corte Pontificia, in castel Sant'Angelo (coincidenza non casuale) con il Papa Clemente VII. Passata la bufera, il nostro don Antonio, restando ancora presso il Cardinale Dal Monte, lo sentì un giorno raccontare che nel 1471 Papa Sisto IV aveva fatto chiamare a Roma in S. Pietro in Montorio un pio frate minore portoghese, il Beato Amodeo da Sylva, come confessore. 

Frate Amodeo, scrivendo la sua "Apocalipsys Nova", nel "quinto Rapto" nomina gli stessi Angeli venerati in Sicilia, a Palermo. Essi prestano una singolare venerazione alla Madre di Dio e precedono tutti gli altri nel loro genere.  Ascoltato attentamente il racconto di Antonio sulla scoperta del famoso dipinto, il Cardinale incaricò il nostro caro Sacerdote di comporre una Messa dei Sette Angeli, in collaborazione con il collega Girolamo Maccabeo.  In seguito all'improvvisa morte del Cardinale, avvenuta nel 1533, e con l'elezione di Paolo III Farnese, don Antonio, visto vano ogni tentativo per l'approvazione della sua Messa e vedendo in questo la volontà di Dio, decise di rientrare a Palermo, ritirandosi nella Chiesa di S. Croce presso il cugino Antonino Lo Duca, parroco di detta chiesa. Da quel momento Antonio, per oltre un anno, fu colpito da grave infermità, ma non appena ripreso di forza, don Antonino gli chiese di tornare a Roma per difendere alcuni diritti di esenzione da tributi che avrebbero duramente gravato sulla parrocchia. Il nostro pio Sacerdote così ritornò a Roma per seguire l’andamento della causa, trovando una cappellania presso la "Confraternita dei Fornai" in S. Maria di Loreto, al Foro Traiano. In una sua lettera a Lucrezia della Rovere Colonna confida che, "per dare felice esito alla causa del cugino, occorre più l’aiuto dei Santi e in particolare quello di S. Caterina col digiuno a pane a acqua...".  Un mattino d'estate del 1541 (settimo anno del pontificato di Paolo III) don Antonio ebbe una straordinaria visione all'alba, presso l'altare del Crocifisso della sua Chiesa: "vide una luce bianca più che neve che partiva dalla sala centrale delle terme di Diocleziano, allora in rovina, e nel mezzo a quella luce i Santi Saturnino con i Diaconi Ciriaco, Largo, Smaragdo, Sisinio e il patrizio Trasone". (Cfr. ms. dei Catalani). Essi, insieme a S. Marcello, Papa, sono i sette martiri eminenti delle grandiose terme di Diocleziano iniziate nel 298 d.C. e finite nel 305 da schiavi cristiani. Antonio Lo Duca capì che in questa visione gli era stato indicato il luogo dove sarebbe dovuto sorgere il grande tempio dedicato ai Sette Angeli, ricavandolo dalle rovine delle terme di Diocleziano, e che sarebbe stato più tardi progettato dal grande Michelangelo (ancora una volta nome non casuale). Il Catalani continua: "stette Antonio, doppo la revelazione, due anni aspettando che il papa si movesse alla erettione della Chiesa. Nel 1543 fu Antonio costretto, come lui diceva, da motione celeste andare a Venetia passando per la Santa Casa di Loreto.  In Venetia nella chiesa di San Marco sopra l'altare maggiore trovò di mosaico antico depinta la gloriosa Vergine Maria Madre di Dio tra sette Angeli che tenevano in mano le verghe a ne cavò il ritratto del quadro che hoggi dì e nell'altrar maggiore di S. Maria degli Angeli nelle terme...". Fin qui è la storia del come si è giunti alla nostra tavola, storia assolutamente oggi sconosciuta a Venezia sia presso la Procuratoria di S. Marco che presso la soprintendenza di Venezia.  E' il caso di sottolineare a questo punto i valori pittorici e le possibilita attributive dell'Autore e, da ultimo, le valenze iconografiche.

P. Angelo Polesello ofm

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