S. Croce
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La Certosa di Santa Croce in Gerusalemme (1370 - 1561)

Nicola Orsini, davanti alle spese ingenti per elevare la fondazione sulle rovine delle Terme, si scoraggiò e chiese al papa Urbano V un'altra Bolla (1370) che lo autorizzasse a fondare una Certosa a Santa Croce di Gerusalemme. La chiesa apparteneva all'Ordine di s. Agostino, ma da parecchi anni era vacante, perché priva di persone che celebrassero il culto divino. 

Urbano V concesse la Bolla, facendo dono non solo della chiesa, ma anche degli edifici annessi (chiostro, case, cimitero, campana e campanile, orti e terreni adiacenti). Tutto aveva però un gran bisogno di restauri. Nell'atto di donazione con cui Nicola Orsini trasmette questi beni all'Ordine, egli  promette di ricostruire la casa, di dotarla e arredarla a sue spese, perché vi possano vivere un priore e dodici monaci, chierici e conversi, secondo le consuetudini certosine. E` però interessante notar qui una clausola dell'atto, che aiuterà a spiegare la sorte di questa fondazione. Il nobile signore dichiara che qualora la chiesa di Santa Croce non sembrasse adatta ai Certosini, egli promette di costruirne un'altra nell' ambito adiacente, a sue spese. Anche Urbano V beneficò la fondazione con vari lasciti. La casa fu incorporata all'Ordine nel 1370 e vi fu nominato priore D. Guido Favullia, vicario della certosa di Bologna.

Uno dei priori monaci che vi abitò, menzionato negli Annali certosini, è Galgano Barroccio, professo della Certosa di Maggiano (Lucca), che morì a Roma nel 1371.  Nel 1382 al tempo dello scisma fu celebrato nella certosa di Roma un Capitolo Generale (2). Nel 1390 le Cronache riferiscono che Don Stefano Maconi (3), quand'era ancora a Bologna, prima di essere rieletto Generale dell'Ordine, fu deputato con il priore di Roma, don Roberto, per recarsi dal pontefice Bonifacio IX, al fine di chiedere un trasferimento dato che i monaci vix corpore coeli locique gravitatem sustinere poterant (4).
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(2) A causa dello scisma d'Occidente, l’Ordine certosino fu costretto ad avere due Superiori maggiori. Il papa di Roma, Urbano VI, nominò Visitatore Generale il priore di Napoli, Don Giovanni da Bari, che poco dopo fu eletto Reverendo Padre nel Capitolo qui menzionato. Egli pero andò a risiedere a Firenze.
(3) Il discepclo di Santa Caterina da Siena, da lei spronato ad abbracciare la vita monastica certo- sina, ciò che egli fece, dopo la morte della santa senese.
(4) LE COUTEULx, op. cit., vol. III, p.421.

Ma costruire altrove significava affrontare spese ingenti; altre difficoltà sopraggiunsero e il progetto fu rinviato fino al secolo succesivo. Intanto Bonifacio IX concesse come dotazione ai monaci Certosini il monastero di Paluzola (o "De Palatiole") nel territorio dell'Urbe. (1391) Un tempo questo convento era stato un cenobio benedttino, poi fu affidato agli Agostiniani e nel 1231 passò ai Cistercensi, che vi vissero per centosessanta anni. Ora esso viene ceduto ai Certosini, ma non per edificarvi una Certosa, come talvolta erroneamnente è stato scritto. Si tratta soltanto d'una dotazione di beni ai Nostri da parte del Papa. In seguito anche Innocenzo VII (1405), il successore di Bonifacio IX, verrà incontro alla situazione pre caria della Certosa romana, riparando la copertura della Chiesa e accordando loro edifici attigui. (Bolla del 1406). 

Il disagio a Santa Croce di Gerusaleme permaneva. Nel 1429 il Capitolo Generale stabilisce che il priore di S.Croce, D.Pietro de Pisis, insieme al priore della Certosa di Napoli vadano a rinunciare alla casa romana nella mani del Sommo Pontefice. Non se ne fece nulla però. Martino V era stato eletto dal Concilio di Costanza nel 1417. Potè rientrare a Roma soltanto alla fine del 1420 e trovò la città in condizioni miserabili: case e templi cadenti, miseria e povertà estreme dappertutto, strade fangose e luride: una Roma irriconoscibile. Qualche anno più tardi si aggiungerà il flagello della peste . Mentre guerre intestine straziavano l’Europa, dalla Francia giungevano notizie inquietanti: Giovanna d'Arco saliva sul rogo nel 1431, completamente abbandonata dai suoi compatrioti. Si capisce come occupato a risollevare una condizione cosi diffusa di miseria, il Pontefice non potesse venir in aiuto dei Certosini e tanto meno accondiscendere alla chiusura del loro convento.

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